Month: agosto 2014

Pueri aeterni. Hillman, James, Mann

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Bjorn Andrésen (Tadzjo) in Morte a Venezia di Luchino Visconti (1971

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James Hillman

 Nel suo saggio Puer e Senex ( in edizione italiana nel volume Puer aeternus,Adelphi 1999), James Hillman analizza gli aspetti dell’archetipo  junghiano del puer, ovvero della parte infantile della divinità: intelligente, amante degli scherzi, vivace e imprevedibile ma anche  inafferrabile e distante, amato da tutti ma incapace di amare, dunque condannato- paradossalmente- alla solitudine.Le sue principali incarnazioni sono Ermes ed Eros (ma anche Narciso e Icaro). Il puer aeternus è, per definizione, fuori dal tempo, inalterabile, e non conosce il mutamento della discesa, cioè della crescita: è al di fuori dei confini del regno di Cronos, cioè di Saturno, il vecchio re malato e prossimo alla morte; eppure entrambi, secondo Hillman, danno vita ad un archetipo bifronte, in una sorta di coincidentia oppositorum la cui distinzione sarebbe esclusivamente frutto della nostra modalità conoscitiva critica (che non può fare a meno, cioè, di categorizzare e distinguere).

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Thomas Mann

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Henry James

Sub specie archetypi  proporremo dunque qui l’analisi di due notissime opere di Thomas Mann ed Henry James: Morte a Venezia Giro di vite.

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Feriae Augusti . Manganelli, Ceronetti, Giuntini

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Ahimé. fino a ieri ero probabilmente uno dei pochissimi italiani ad ignorare l’origine della festività di Ferragosto. Le feriae Augusti, proclamate dal princeps  a partire dall’8 d.C., ricordavano il momento della sua ascesa al potere, e le festività duravano l’intero mese, includendo e sovrapponendosi a molte e importanti feste religiose, tra le quali la più importante dedicata alla dea Diana.

Alla tradizione pagana si sovrapporrà poi quella cristiana, che riconosce in questa data l’Assunzione della Vergine. Praticamente, in perfetta analogia con i Saturnalia e le feste natalizie a Dicembre, nei giorni del solstizio d’inverno.

Fin qui la storia politica e religiosa. La storia del costume ci insegna invece che la celebrazione del Ferragosto è un’iniziativa fascista a scopo sociale: nei giorni del Ferragosto venivano infatti istituiti treni speciali per permettere anche chi non se lo poteva permettere di visitare le città o di andare al mare.

I regimi passano, le tradizioni resistono. E oggi il Ferragosto è veramente l’unico rituale collettivo inossidabile e inscalfibile persino dalla crisi,  il solo giorno in cui il nostro Paese realizza finalmente l’unità senza distinzione di razza, cultura,  sesso, lingua e religione. Una festa,come la conosciamo oggi, donataci per grazia di principi e dittatori, sentita nei cuori assai più del repubblicano 2 giugno.

Inutile, alzando un sopracciglio pieno di degnazione,  bollarla come nazionalpopolare e dichiararsene  estranei o disgustati  : l’uomo è un animale sociale, e se per forza, per errore o vanità non gli è consentito  partecipare al rituale  si risveglia in lui la sofferenza ancestrale dell’escluso.

[…] Sebbene sia ormai allenato da tanti mai ferragosti, ogni anno questa bizzarra festa mi sopraggiunge, mi coglie e oltrepassa come un trauma.

Nessuna vacanza è così stranamente gremita di questa che spopola le città, più chiassosa di questa che rende silenzioso il tritone a mezzogiorno. Non è una festa, è un incantesimo, una malìa, una fattura. Irretisce le folle, ispira programmi insensati, o immerge in una torva e diffidente sonnolenza. […]

Dove vanno le spensierate folle di gitanti che, tutte nel medesimo istante, vengono colte dal raptus dell’emigrazione verso la Gioia? Sono persuaso che esse vengano stivati in uno dei tanti armadi del Nulla, e lì provvisoriamente trattenute e distratte con effimeri giocarelli fatti, letteralmente, di niente. Durante le non molte, ma fatali ore del ferragosto, trionfa una colossale eclissi dell’esistenza. Nulla viene prodotto, eccetto l’ectoplasma.

Per questo, io divento ogni anno più guardingo. Aggiorno e perfeziono le astuzie, i travestimenti, le strategie intese a farmi guardare il Mare dell’Assenza. […]

Altrove, in luoghi seviziati dal Nulla, famiglie intensamente italiane formano una pasta di nonne, genitori, bambini: tutte le parti sono scambiabili. Sono rumorosi e felici. Sono tutti. Per quel che mi riguarda, ho espresso educatamente il mio dissenso agitando gli indici in segno negativo: ma con cautela, fingendo distrazione.

G. Manganelli, Improvvisi per macchina da scrivere, Adelphi 2003*

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[…]Lo svuotamento urbano vuol dire perdita di ogni punto di riferimento all’unica vivibilità possibile, nei due rami dell’Amicizia e dei Servizi, perché tutto è sospeso, tutto si è reso di colpo introvabile, tutto sembra stato segnato dal transito di una malefica cometa inceneritrice. Il vero Exodus, quello del secondo libro della Bibbia, a ben rifletterci fu molto meno affannoso dei nostri, disseminati lungo tutto l’anno, sebbene resti quello d’agosto inuguagliabile – l’Exodus aveva una guida, un maestro, degno del marmo di Michelangelo, e la guida aveva una meta, scomparirà appena giunto con il suo popolo senza né ruote, né motori, al confine.

Ma la città fa pena: potrebbe con la riduzione del traffico e le piazze libere respirare meglio; invece il caldo e l’angoscia dei rimasti, vecchi e animali (anche il farmacista sull’angolo è sparito, anche il geriatra e il veterinario, gli fai squilli invano, risponde agghiacciante il fischio sarcastico del fax).

E nelle città così maldestramente spruzzate dall’esorcismo esodale che le svuota, sempre restano attivi ladri, spacciatori, prostitute, che non medicano ferite ma le producono. Nonostante gli allarmi innescati, sono ugualmente al lavoro gli svaligiatori: c’è da domandarsi, in agosto, a chi la città appartenga, a chi la consegnano i fuggiaschi, ora profughi sulle autostrade o già brillantemente sequestrati dai ribelli sudamericani o dagli islamisti di qualche valle sperduta d’Asia, senza aver avuto il tempo di fotografare la Sfinge in posa davanti al cellulare. A chi? A spettri, a Lémuri, a fantasmi…

Lo Stato è andato in ferie, il Comune non sai più se ancora è in via Fiore di Palude o se è trasferito tutto in Calle García Marquez di Brasilia fino al 10 settembre, i carabinieri fanno orario ridotto, le pompe funebri hanno diritto anche loro di non preoccuparsi, fino al 31 agosto, di rivaleggiare in decessi.

Guido Ceronetti, Il mese che non c’è, La Stampa**

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15 Agosto
L’ABBANDONO
 
Dove andate fuggendo(lunghe strade
di solitudine tacciono nel sole
fra porte che non s’aprono), ma dove
state fuggendo, dunque. Dite dove.
 
Che attesa di sventure, che insepolta
memoria così tanti disertate
(stanze e arnesi lasciarono in penombre
disconosciute  appena chiuse a chiave).
 
In folla apparterrete ad un deserto,
impronte nella polvere. Sarete
pretesti per un vortice del vento.
 
A che siete fuggiti uno alla volta,
verso che perdizione. A quale fede
io qui rimango incatenato, a quale**.

F. Giuntini, La catena dei giorni,  in La fabbrica del tempo, Polistampa 2001

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* Il testo completo dell’articolo di Manganelli;

** Dell’articolo di Ceronetti ( qui il testo completo) mi vergogno di dire che non sono riuscita a trovare o a capire la data di pubblicazione; una variazione sul tema la si trova nell’articolo Il più crudele dei mesi, dalla mirabile allusione eliotiana, pubblicato sul Corriere della Sera il 4 Agosto 2013

Fino a prova contraria. Sciascia, Manganelli e l’affaire  Tortora

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Roma, 17 Giugno 1983.

Sulla base delle dichiarazioni di alcuni pregiudicati appartenenti alla Nuova Camorra Organizzata, Enzo Tortora, volto notissimo della Rai e presentatore della storica trasmissione Portobello viene arrestato per ordine della Procura di Napoli con l’accusa di associazione a delinquere di stampo camorristico e spaccio di droga.

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Affronta il carcere e il processo, in cui non esita ad affermare a gran voce la propria innocenza e l’indecenza delle accuse.

Sarà assolto con formula piena dalla Corte d’Appello di Napoli il 15 Settembre 1986. Morirà due anni dopo per un tumore polmonare, che non è forse azzardato riconoscere come estrema conseguenza dell’ingiustizia subita.

L’affaire Tortora scatena immediatamente un vero e proprio linciaggio mediatico. Firme importanti del giornalismo d’allora si dichiarano accusatori convinti,  come Camilla Cederna e Giorgio Bocca, o dubbiosi come Enzo Biagi e Indro Montanelli .

Tra i sostenitori dell’innocenza di Tortora si pongono, nettamente, e inconsapevolmente all’unisono, Giorgio Manganelli e Leonardo Sciascia: due dei maggiori protagonisti della cultura italiana degli anni Settanta-Ottanta, profondi conoscitori degli endemici vizi italici, animati entrambi, sia pure con stili e mezzi assai diversi, da una profonda passione intellettuale e civile che non può  non far levare loro la voce in difesa di un uomo per bene (significativamente sarà questo il titolo del film che Maurizio Zaccaro dedicherà al caso Tortora nel 1999).

Sciascia, unito a Tortora da un’amicizia trentennale, corroborata  dalla comune passione per Stendhal dall’appartenenza allo stesso partito (Radicale), scrive sul Corriere della Sera, il 7 Agosto 1983,  un articolo, Responsabilità del giudice, in cui si dichiara certo dell’innocenza di Tortora e che riconosce il presentatore come la chiave di volta del castello di carte di accuse montato consapevolmente dalla camorra con il preciso intento di confondere le acque e intorbidare le indagini:

«Il caso Tortora è l’ennesima occasione per ribadire la gravità e l’urgenza del problema[delle carenze e delle disfunzioni della giustizia]. Un mese fa, alla televisione francese, ho dichiarato le mie perplessità e preoccupazioni relativamente alla massiccia operazione contro la camorra promossa dagli uffici giudiziari di Napoli e la mia personale convinzione che Tortora sia innocente. Non mi chiedo: “E se Tortora fosse innocente?”: sono certo che lo è. Il fatto di conoscerlo personalmente e di stimarlo uomo intelligente e sensibile (non l’ho mai visto in televisione), può anche essere considerato elemento secondario e magari fuorviante; ma dal giorno del suo arresto io ho voluto fare astrazione dal rapporto di conoscenza e di stima e ho soltanto tenuto conto degli elementi di colpevolezza che i giornali venivano rilevando. Non ne ho trovato uno solo che insinuasse dubbio sulla sua innocenza».[…]

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Non credo nell’infermità mentale quando viene invocata o riconosciuta nei processi di mafia. Ma nella camorra e nei camorristi qualcosa di simile all’infermità mentale si intravede. Se vi piace potete anche chiamarla immaginazione, fantasia: io continuerò a considerarla infermità, criminale follia di criminali. Una follia, si capisce, non priva di metodo: e consiste il metodo nel confondere, nell’intorbidire, nel seminare sospetti e accuse, nel coinvolgere quante più persone  possibile. Un costruire, insomma, uno di quei castelli di carte che basta poi toglierne una, alla base, perché tutta la costruzione crolli. E ho l’impressione che la carta Tortora sia stata messa proprio a chiave di tutta la costruzione: una volta che si sarà costretti a toglierla, l’intera costruzione crollerà e tutto apparirà sbagliato e privo di credibilità. E resterà il problema del come e del perché dei magistrati, dei giudici, abbiano prestato fede ad una costruzione che già fin dal primo momento appariva fragile all’uomo della strada, al cittadino che soltanto legge o ascolta le notizie.

 

Per singolare coincidenza, lo stesso 7 Agosto, per la stessa testata,   Giorgio Manganelli  scrive a sua volta La presunzione di colpa sul caso Tortora (che egli dichiara apertamente di non aver mai conosciuto né  seguito) e con il suo gusto del paradossale sferza  il malcostume nazionale dei colpevolisti invidiosi, che  terrorizzati dal solo nome della Giustizia godono nel vederla colpire i privilegiati e i fortunati, ritenendo evidentemente che il  suo compito  sia quello di livellatore sociale, a ragione o a torto; e poco importa se, come la Fortuna, colpisce alla cieca:

l’italiano ha una paura, che è difficile giudicare infondata, della macchina della giustizia; ma quando vede una persona in qualche modo nota finire stritolata in quell’ingranaggio, prova un moto di torbida letizia, un giòlito sinistro.[…]

Si dimenticò più del decente che in Italia, come in ogni Paese civile, esiste una “presunzione di innocenza” dalla quale deriva che anche l’ uomo  arrestato, ammanettato, fotografato al pubblico ludibrio va considerato innocente finché non intervenga una sentenza che  lo dichiari colpevole “in nome della legge” e, suppongo, del popolo italiano”.

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Ma se,nel diritto, si nega la presunzione di innocenza, vale a dire uno dei suoi stessi fondamenti che riconosce agli accusatori e non agli accusati l’onere della prova, le conseguenze saranno inevitabili, e lo saranno per tutti. Manganelli conclude, implacabile:

Oggi, all’ilarità-“volemose male” – per la catastrofe del noto presentatore tien dietro un sentimento nuovo: un disagio come di chi indossa panni che non gli si addicono: una diffidenza, un guardarsi attorno, sul chi vive. Esiste, poi, quella “presunzione di innocenza”? E’ stato saggio, è stato onestoi negarla a quell’uomo ammanettato? Quell’aggressione a quell’uomo non ancora giudicato non è stata un’aggressione a noi stessi? E’ chiaro: se quella “presunzione di innocenza “non è ben salda e fondata qualcosa d’altro ne prenderà il posto: una “presunzione di colpa” da cui  è impossibile difendersi.

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NOTE A MARGINE

* Quando ho pensato a Sciascia e a Manganelli, per questo post, non immaginavo di riparare virtualmente ad un grande appuntamento mancato . Come racconta infatti Salvatore Silvano Nigro, già professore di Letteratura alla Sorbona e all’ École Normale Supérieure di Parigi e curatore di diverse opere di Manganelli per Adelphi, i due scrittori, pur così diversi nel temperamento, si leggevano reciprocamente con interesse, e Sciascia telefonò a Nigro  per tastare il terreno a proposito di un eventuale incontro con Manganelli. Quest’ultimo si dice entusiasta di un viaggio in Sicilia, che avrebbe voluto visitare approfonditamente in compagnia di Sciascia (e Bufalino), ma purtroppo il viaggio non riuscirà ad essere organizzato prima della morte dei due scrittori,  a a meno di un anno di distanza l’uno dall’altro  (Sciascia scompare nel novembre del 1989, Manganelli  nel maggio del 1990).

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** Formulo qui l’auspicio di vedere un giorno pubblicato l’epistolario tra Sciascia e Tortora, attualmente custodito dalla Fondazione Sciascia   di Racalnuto, paese natale dello scrittore.

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Il testo integrale dell’articolo di Manganelli dedicato a Tortora (oggi in Mammifero italiano, Adelphi 2009).

Ridere sotto i baffi. Ennio Flaiano e Giovannino Guareschi

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A vederli così, soprattutto se è  per la prima volta,  sembra proprio il classico caso di separati alla nascita. Ma le affinità esistenti tra Ennio Flaiano e Giovannino Guareschi  vanno bel aldilà del singolo  particolare fisionomico (per quanto nell’associazione in questo post di questi due autori da me amatissimi i baffi abbiano avuto, senza dubbio , una considerevole  importanza ;-))  .

Flaiano e Guareschi sono stati gli animatori di due tra i più importanti settimanali del dopoguerra, che sia pure per strade diverse condividevano la  ricerca di una terza via nell’Italia divisa tra Togliatti  e De Gasperi.

Inutile sottolineare che questa scelta ha avuto il suo prezzo, giacché entrambi gli autori si sono sempre visti snobbare dalla più agguerrita critica militante e molto raramente hanno l’onore di comparire nei volumi di storia della nostra letteratura. Solo dopo la morte di entrambi, si può dire, il valore della loro opera è stato opportunamente riconosciuto, sebbene sempre ombrato da una certa pregiudiziale resistenza (specialmente nei confronti di Guareschi, e ad onta dello straordinario successo internazionale ottenuto soprattutto con le storie di Mondo piccolo)

Flaiano fu redattore capo e anima de Il Mondo , settimanale pubblicato a Roma tra il ’49 e il ’66, fondato e diretto da Mario Pannunzio, che ha potuto vantare i contributi delle maggiori firme del pensiero liberale italiano ed europeo, da Croce a Orwell a Mann;download (8)

Guareschi fondò e diresse assieme a Giovanni Mosca, già nel 1945,  il noto settimanale umoristico Candido, che pur schierandosi nettamente a favore della Democrazia Cristiana nelle elezioni cruciali dell’Aprile  del ’48, si orientò successivamente verso l’indirizzo monarchico, fino alla cessazione delle pubblicazioni nel ’61 a seguito della rottura con l’editore Angelo Rizzoli per motivi editoriali e politici (Laffaire Guareschi è un altro dei simpatici fatti diversi di storia letteraria e civile del nostro Paese).

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Entrambi hanno lavorato nel mondo del cinema: Flaiano, come è noto, ha firmato le sceneggiature delle migliori pellicole felliniane; Guareschi ha raggiunto la notorietà con i film tratti dai suoi racconti del ciclo Mondo piccolo,  con gli immortali Don Camillo e Peppone  impersonati da Gino Cervi e Fernandel

Entrambi sono stati, prima ancora che uomini di lettere e di spettacolo, mariti e padri amorevoli,  con un vivissimo senso della famiglia: amatissime da Flaiano la moglie Rosetta Rota e la figlia Luisa, detta Lelé,  che causa di una grave encefalopatia non poté mai imparare a parlare . Flaiano, aldilà delle pose brillanti da viveur di via Veneto, fu in realtà interiormente spezzato da questo dramma,  che gli allontanò per sempre la famiglia,  con la moglie costretta ad assistere la figlia in una struttura in Svizzera;

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Guareschi invece ha fatto della sua amata Ennia (in arte Margherita) e dei figli Alberto e Carlotta ( chiamata scherzosamente la Pasionaria, a causa del carattere risoluto) i protagonisti delle deliziose storiedello Zibaldino e del Corrierino delle famiglie;

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Entrambi sono inoltre scrittori fecondissimi, poliedrici e forse disorganici , che hanno pubblicato opere e lasciato materiali inediti all’insegna dell’asistematicità; Guareschi riconosce chiaramente questo debito nell’introduzione al suo  Zibaldino (prima edizione Rizzoli, 1948)  e ad un novello Zibaldone lascia pensare (a parte il romanzo Tempo di uccidere) la pubblicazione delle opere  e degli scritti postumi a cura di  Maria Corti e Anna Longoni (Bompiani, 1988-1990, di cui si può leggere oggi una selezione nel volume Adelphi, delle Opere scelte.): Diario notturno, Diario degli errori, Le Ombre bianche, Frasario essenziale per passare inosservati in società.

Flaiano e Guareschi sono soprattutto due  umoristi di razza .:  più lapidario e diretto, a volte acre, Flaiano, Guareschi più sottile e garbato. Il loro umorismo, come voleva Pirandello, è vero sentimento del contrario ovvero capacità di lettura del paradosso nell’assurdo dell’esistenza e tanto più è leggero quanto più alto è il grado di distillazione della malinconia. Nei loro testi satirici e anche schiettamente comici, si ritrova infatti quella leggerezza surreale, quel senso del paradosso che, sorprende il lettore e gli rivela all’improvviso, in un dialogo o in un aforisma,  una verità tanto profonda quando inattesa.

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Esame di moralismo

“Lei è moralista?Esprima un giudizio pessimistico sugli italiani.” “Sono dei dongiovanni sul piede di casa che all’estero si lamentano del continuo caffè e a casa consumano più brillantina che carta”. “Bene. Definisca scherzosamente la situazione politica in Italia”. “La situazione politica in Italia è grave ma non è seria”.”Ne dia un giudizio più amaro”. ” Sono un sincero democratico, ma certe cose mi fanno arrossire di rabbia e di vergogna; penso perciò che gli Italiani siano irrimediabilmente fatti per la dittatura”.”Accenni con disinvoltura al suo passato fascista”. ” Ero studente, allora, e la mia attività si riduceva a svolgere un’azione tanto ingenua quanto inascoltata nella mia organizzazione”.”Accenni, con prudenza, alla sua attività di partigiano”.Fu soltanto negli ultimi tempi che ebbi l’onore, ché tale lo consideravo, di partecipare a un modesto movimento: il mio, debbo dire, malfermo entusiasmo, e la mia azione critica, non furono tuttavia gradite.” “Magnifico. Adesso sia spiritosamente antipatriottico” “Come Saturno, di cui portava ab antiquo il nome, questa terra non riesce a perdonarsi di averci dato i natali”.”Una domanda facile: che cosa fa, lei, ogni volta che va in treno?”Scrivo un pungente articolo sui miei occasionali compagni di viaggio”.”Mettendoli in ridicolo?” “Sì, “et pur cause”!””come, se è lecito?” “Riportando i loro discorsi e sottolineandone l’assenza di logica,di senso politico, di serietà, e di educazione civile e patriottica”.[…]”Frequenta lei i salotti?” “Forcément, per studiare la decadenza delle classi borghesi”. “Frequenta le case di tolleranza?” “Per studiare la spaventosa condizione delle mercenarie”.”Frequenta i ristoranti?””Per bollare, nei miei scritti, le persone che occupano gli altri tavoli”[…]”E a teatro, ci va? “Ci andrei,ma non sopporto gli intervalli” “La ragione, prego?””Negli intervalli gli spettatori discutono di argomenti che non conoscono”.

Ennio Flaiano, Diario notturno

 
 
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Giornalismo ’45-’46
Portai il mio primo articoletto al quotidiano del pomeriggio che mi aveva invitato a collaborare.
Era un pezzettino scritto col miglior garbo possibile, che m’era costato molta fatica, e lo presentai sicuro di me al redattore capo del giornale.
«Debole» disse il redattore capo restituendomi il foglio. «Così non può andare. Cerca di renderlo più interessante, più movimentato.» Rimasi un po’ male, a ogni modo promisi che me lo sarei riguardato attentamente. Onestamente però non potevo assicurargli che sarei riuscito a movimentarlo molto. «È un pezzo piuttosto di colore» conclusi. «Risulta un po’ difficile movimentare i pezzi di colore.»
«E chi ti parla del pezzo?» replicò il redattore capo. «Il pezzo non mi interessa, non l’ho neanche letto. Mi interessa il titolo e io parlo appunto e solo del titolo.»
Si trattava di un pezzettino d’attualità per quei giorni: parlava di un bambino che si rigira nel suo letto aspettando con impazienza il mattino per correre a vedere cosa gli ha portato la Befana. E perciò avevo trovato naturale intitolarlo: La calza sotto il camino.Effettivamente era un po’ debole e io rinforzai il concetto: Stanotte Gigetto non dorme.«Meglio», disse il redattore capo. «Però non ci siamo ancora: cerca di interessare il lettore. Stuzzica la sua curiosità.»
In questi casi l’interrogativo è quello che ci vuole; perciò modificai con facilità il titolo: Perché Gigetto non dorme stanotte?
«Bene» approvò il redattore capo. Ma poi ci ripensò e scosse il capo. Mettendo Gigetto, la gente avrebbe capito subito che si trattava di una cosetta leggera. Occorreva rimanere più sul vago e sul misterioso.
Ammantai il titolo di mistero: Qualcuno non dorme, stanotte. «Puzza di letterario» disse il «Cambia stile, fa qualcosa di più cronistico, di più moderno. Sfogliati la raccolta, cerca di adeguarti allo stile del giornale.»
Sfogliai la raccolta, cercai di adeguarmi, ed ecco tre nuovi titoli: Dormire e no.
Dan, dan, dan, già le tre, ma lui duro! — E aspetta aspetta, non arriva mai questa porca mattina.
Il redattore capo disse che la gente ama le cose forti: il fatto bisogna sempre “montarlo”, non presentarlo come uno scherzo. Drammatizzare, non ironizzare.Drammatizzai e ottenni cinque titoli interessanti:
Cosa succede nell’altra stanza? — Passi si udranno nel buio ? — Chi è la vecchia misteriosa che va in giro di notte? — Vecchia di notte. — Notturno con vecchia.
«Ci siamo» esclamò il redattore capo. «Punta tutto sulla vecchia: le vecchie rendono moltissimo, in cronaca. Le vecchie interessano sempre.» Si mise egli stesso al lavoro, e alla fine mi lesse il risultato:
Una vecchia urla nella notte — Attenzione! Vecchia che urla in via Pacini. — Accorrete,sgozzano la vecchia del quinto piano! — Aiuto! Sbudellano la vecchia e il sangue scorre per le scale rosso e fumante come vino brulé! Stabilì che l’ultimo era il migliore e mi chiese se mi piacesse.
«Molto» risposi. «Però nel mio pezzo non si parla di delitti, si parla di un bambino che si rigira nelletto aspettando la Befana.»
«Benissimo» esclamò il redattore capo. «Il bambino veglia nella notte aspettando la Befana, ed ecco che a un tratto ode un grido: nella casa vicina hanno sgozzato una vecchia e lui allora crede che si tratti della vecchia Befana e piange disperatamente col viso affondato nel cuscino. Lo modifichi in due minuti, il pezzo, e ottieni anche un finale commovente.»
«E la vecchia sgozzata? Vuoi inventare un delitto?»
«Ma che inventare! Tu non precisare località: figurati se stanotte in tutta Milano non sgozzano una vecchia.»
Effettivamente, quella notte, una vecchia fu sgozzata e magari ci fu effettivamente qualche Gigino che udì il grido e pensò che avessero assassinato la Befana.
Ma questo sistema della cronaca preventiva non mi va giù: ai miei tempi prima si lasciava che accadesse il fatto e poi lo si raccontava, e non si permetteva che, per amor di un bel titolo, si sgozzassero le vecchie signore.

Giovannino Guareschi, Lo Zibaldino

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Qui il testo integrale dell’Esame di moralismo;

Qui il testo integrale de Lo Zibaldino