Month: marzo 2019

La viltà del rifiuto. Orazio e Cesare Pavese

 

O Pompeo, primo dei miei amici, che spesso corresti con me il pericolo estremo nell’esercito di Bruto, chi ti restituì Quirite agli dei patrii e al cielo d’Italia?

 Con te, spesso trascorsi tra le coppe le lunghe giornate, incoronandomi il capo lucido di malobatro sirio; e con te, abbandonata alquanto vilmente la parmula,  provai la rotta sfrenata di Filippi, quando i valorosi furono sconfitti e gli spavaldi batterono il mento nella polvere sozza. […]

Quando si accosta ad Orazio facendone prova di traduzione con l’asprezza maldestra dell’adolescenza, Pavese non può immaginare che, esattamente mille anni dopo battaglia di Filippi, ,  anche a lui toccherà assistere alla guerra fratricida   che insanguinerà l’Italia fino alla Liberazione, e in cui moriranno molti dei suoi amici più cari.  L’immagine dell’Ode II,7 in cui Orazio rievoca l’abbandono dello scudo come simbolo della sua diserzione   tormenterà Pavese per sempre, fino alla sua ultima raccolta, quando di quei versi si ricorderà per provare a dar voce a quel «vecchio rimorso» che lo accompagnerà fino alla fine.

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