Personalmente, ho sempre considerato il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia il vertice della poesia di Leopardi, in cui la sua lirica trascende i limiti dell’angustia del borgo selvaggio e del compatimento autoreferenziale per espandersi in una dimensione cosmica, con il cielo e il deserto unici testimoni della desolazione del pastore per le domande di senso ostinatamente rimaste senza risposta:
Dimmi, o luna: a che vale
al pastor la sua vita,
la vostra vita a voi? Dimmi, a che tende
questo vagar mio breve,
il tuo corso immortale?
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