Giovanni Guareschi

Una sola luce.Un – piccolo- asterismo di Natale

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Amo questo  periodo dell’anno. Non per motivi prettamente religiosi, che non mi appartengono, quanto piuttosto perché proprio il mese di Dicembre, e più nello specifico il periodo del solstizio d’inverno, è il periodo della celebrazione della luce .Penso al nostro Natale, naturalmente, ma anche alla festa di Hanukkah o alla celebrazione dei Saturnalia (da cui, come certo saprete, deriva la tradizione dello scambio dei doni, simbolo dell’abbondanza  collegata a Saturno e al mito dell’età dell’oro).E se è vero, come dice Calvino, che il nostro è un mondo fatto di metafore- o almeno lo è il nostro modo di leggerlo- mi sembra perfettamente appropriato condividere con voi questo racconto di  Giovannino Guareschi, che non è una Favola di Natale, (Guareschi l’ha scritta, la sua, ben altrimenti straziante) ma potrebbe benissimo esserlo, e che sempre mi commuove (sì, anch’io ho un lato sentimentale) esattamente come la prima volta che l’ho letto, oltre trent’anni fa.

Le lampade e la luce

Don Camillo guardò in su verso il Cristo dell’altar maggiore e disse:
– Gesù. al mondo ci sono troppe cose che non funzionano.
– Non mi pare. – rispose il Cristo. – Al mondo ci sono soltanto gli uomini che non funzionano. Per il resto ogni cosa funziona perfettamente.
Don Camillo camminò un po’ in su e in giù. Poi si fermò da vanti all’altare.
– Gesù. – disse – se io comincio a contare: uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette e vado avanti per un milione di anni sempre a contare. ci arrivo in fondo?
– No. – rispose il Cristo. – Tu, così facendo, sei come l’uomo che, segnato un gran cerchio per terra, comincia a camminare attorno ad esso dicendo: « Voglio vedere quando arrivo alla fine». Non ci arriveresti mai.
Don Camillo. che ormai mentalmente si era messo a camminare su quel gran cerchio, si sentiva l’affanno che di solito prova chi, per un istante, tenta di affacciarsi alla finestrella che dà sull’ infinito.
– Eppure, – insisté don Camillo. – io dico che anche il numero deve avere una fine. Soltanto Dio è eterno e infinito, e, se il numero non avesse una fine, sarebbe eterno ed infinito come Dio.
– Don Camillo, perché ce l’hai tanto coi numeri?
– Perché, secondo me, gli uomini non funzionano più proprio a causa dei numeri. Essi hanno scoperto il numero e ne hanno fatto il supremo regolatore dell’universo.
Quando don Camillo innestava la quarta era un guaio. Andò avanti un bel pezzo, poi chiuse la saracinesca e camminò in su e in giù per la chiesa deserta. Tornò a fermarsi davanti al Cristo:
– Gesù, questo rifugiarsi degli uomini nella magia del numero non è invece un disperato tentativo di giustificare la loro esistenza di esseri pensanti?
Tacque un istante angosciato.
– Gesù, le idee sono dunque finite? Gli uomini hanno dunque pensato tutto il pensabile?
– Don Camillo, cosa intendi tu per idea?
– Idea, per me, povero prete di campagna, è una lampada che si accende nella notte profonda dell’ignoranza umana e mette in luce un nuovo aspetto della grandezza del Creatore.
Il Cristo sorrise.
– Con le tue lampade non sei lontano dal vero, povero prete di campagna. Cento uomini erano chiusi in una immensa stanza buia e ognuno d’essi aveva una lampada spenta. Uno accese la sua lampada ed ecco che gli uomini poterono guardarsi in viso e conoscersi. Un altro accese la sua lampada e scopersero un oggetto vicino, e mano a mano che si accendevano altre lampade, nuove cose venivano in luce sempre più lontane, e alla fine tutti ebbero la loro lampada accesa e conobbero ogni cosa che era nella immensa stanza, e ogni cosa era bella e buona e meravigliosa. Intendimi, don Camillo; cento erano le lampade, ma non erano cento le idee. L’idea era una sola: la luce delle cento lampade, perché .soltanto accendendo tutte le cento lampade si potevano vedere tutte le cose della grande stanza e scoprirne i dettagli. E ogni fiammella non. era che la centesima parte di una sola luce, la centesima parte di una sola idea. L’idea dell’ esistenza e della eterna grandezza del Creatore. Come se un uomo avesse spezzato in cento pezzi una statuetta e ne avesse affidato un pezzo a ciascuno dei cento uomini. Non erano cento immagini di una statua, ma le cento frazioni di una unica statua. E i cento uomini si cercarono, tentarono di far combaciare i cento frammenti, e nacquero mille e mille statue deformi prima che ogni pezzo riuscisse a combaciare perfettamente con gli altri pezzi. Ma alla fine la statua era ricomposta. Intendimi, don Camillo: ogni uomo accese la sua lampada, e la luce delle cento lampade era la Verità, la Rivelazione. Ciò doveva appagarli. Ma ognuno invece credette che il merito delle belle cose che egli vedeva non fosse del creatore di esse, ma della sua lampada che poteva far sorgere dalle tenebre del niente le belle cose. E chi si fermò per adorare la lampada, chi andò da una parte e chi dall’ altra, e la gran luce si immiserì in cento minime fiammelle ognuna delle quali poteva illuminare soltanto un particolare della Verità. Intendimi, don Camillo: è necessario che le cento lampade si riuniscano ancora per ritrovare la luce della Verità. Gli uomini oggi vagano sfiduciati, ognuno al fioco lume della propria lampada, e tutto sembra loro buio intorno e triste e malinconico e, non potendo illuminare l’ insieme, si aggrappano al minuto particolare cavato fuori dall’ ombra dal loro pallido lume. Non esistono le idee: esiste una sola idea, una sola Verità che è l’insieme di mille e mille parti. Ma essi non la possono vedere più. Le idee non sono finite perché una sola idea esiste ed è eterna: ma bisogna che ognuno torni indietro e si ritrovi con gli altri al centro della immensa sala.
Don Camillo allargò le braccia.
– Gesù, indietro non si torna … – sospirò – Questi disgraziati usano l’olio delle loro lucerne per ungere i loro mitra o le loro sporche macchine ..
Il Cristo sorrise:
– Nel regno dei cieli l’olio scorre a fiumi, don Camillo.

In questi tempi terribili e confusi, ai miei dodici virgola cinque lettori sono rivolti i miei più cari auguri, di tutto cuore, di buon Natale , quale che sia la tradizione religiosa o il significato delle luci che accendono, e che comunque fanno luce -soltanto- tutte insieme.

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RISORSE E NOTE A MARGINE

-Io credo che Guareschi, in questo racconto, avesse in mente  una sorta di riscrittura in chiave ecumenica del platonico Mito della caverna, come sembra suggerire anche il lessico del testo . Ma non voglio dilungarmi oltre. Del resto, è noto che anche gli asterismi di fatto  non sono altro che proiezioni:  a modo loro, sono ombre delle luci. Piuttosto, visto che pranzi e cenoni vi aspettano, mi affretto a congedarmi sulle note del Messiah  di Haendel,   la cui musica resta incomparabilmente sublime ad onta del testo- e del sottotesto. L’esecuzione è quella del  Coro del King’s College di Cambridge, dettaglio non trascurabile che ci proietta peraltro verso l’asterismo prossimo venturo 🙂


 

Ridere sotto i baffi. Ennio Flaiano e Giovannino Guareschi

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A vederli così, soprattutto se è  per la prima volta,  sembra proprio il classico caso di separati alla nascita. Ma le affinità esistenti tra Ennio Flaiano e Giovannino Guareschi  vanno bel aldilà del singolo  particolare fisionomico (per quanto nell’associazione in questo post di questi due autori da me amatissimi i baffi abbiano avuto, senza dubbio , una considerevole  importanza ;-))  .

Flaiano e Guareschi sono stati gli animatori di due tra i più importanti settimanali del dopoguerra, che sia pure per strade diverse condividevano la  ricerca di una terza via nell’Italia divisa tra Togliatti  e De Gasperi.

Inutile sottolineare che questa scelta ha avuto il suo prezzo, giacché entrambi gli autori si sono sempre visti snobbare dalla più agguerrita critica militante e molto raramente hanno l’onore di comparire nei volumi di storia della nostra letteratura. Solo dopo la morte di entrambi, si può dire, il valore della loro opera è stato opportunamente riconosciuto, sebbene sempre ombrato da una certa pregiudiziale resistenza (specialmente nei confronti di Guareschi, e ad onta dello straordinario successo internazionale ottenuto soprattutto con le storie di Mondo piccolo)

Flaiano fu redattore capo e anima de Il Mondo , settimanale pubblicato a Roma tra il ’49 e il ’66, fondato e diretto da Mario Pannunzio, che ha potuto vantare i contributi delle maggiori firme del pensiero liberale italiano ed europeo, da Croce a Orwell a Mann;download (8)

Guareschi fondò e diresse assieme a Giovanni Mosca, già nel 1945,  il noto settimanale umoristico Candido, che pur schierandosi nettamente a favore della Democrazia Cristiana nelle elezioni cruciali dell’Aprile  del ’48, si orientò successivamente verso l’indirizzo monarchico, fino alla cessazione delle pubblicazioni nel ’61 a seguito della rottura con l’editore Angelo Rizzoli per motivi editoriali e politici (Laffaire Guareschi è un altro dei simpatici fatti diversi di storia letteraria e civile del nostro Paese).

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Entrambi hanno lavorato nel mondo del cinema: Flaiano, come è noto, ha firmato le sceneggiature delle migliori pellicole felliniane; Guareschi ha raggiunto la notorietà con i film tratti dai suoi racconti del ciclo Mondo piccolo,  con gli immortali Don Camillo e Peppone  impersonati da Gino Cervi e Fernandel

Entrambi sono stati, prima ancora che uomini di lettere e di spettacolo, mariti e padri amorevoli,  con un vivissimo senso della famiglia: amatissime da Flaiano la moglie Rosetta Rota e la figlia Luisa, detta Lelé,  che causa di una grave encefalopatia non poté mai imparare a parlare . Flaiano, aldilà delle pose brillanti da viveur di via Veneto, fu in realtà interiormente spezzato da questo dramma,  che gli allontanò per sempre la famiglia,  con la moglie costretta ad assistere la figlia in una struttura in Svizzera;

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Guareschi invece ha fatto della sua amata Ennia (in arte Margherita) e dei figli Alberto e Carlotta ( chiamata scherzosamente la Pasionaria, a causa del carattere risoluto) i protagonisti delle deliziose storiedello Zibaldino e del Corrierino delle famiglie;

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Entrambi sono inoltre scrittori fecondissimi, poliedrici e forse disorganici , che hanno pubblicato opere e lasciato materiali inediti all’insegna dell’asistematicità; Guareschi riconosce chiaramente questo debito nell’introduzione al suo  Zibaldino (prima edizione Rizzoli, 1948)  e ad un novello Zibaldone lascia pensare (a parte il romanzo Tempo di uccidere) la pubblicazione delle opere  e degli scritti postumi a cura di  Maria Corti e Anna Longoni (Bompiani, 1988-1990, di cui si può leggere oggi una selezione nel volume Adelphi, delle Opere scelte.): Diario notturno, Diario degli errori, Le Ombre bianche, Frasario essenziale per passare inosservati in società.

Flaiano e Guareschi sono soprattutto due  umoristi di razza .:  più lapidario e diretto, a volte acre, Flaiano, Guareschi più sottile e garbato. Il loro umorismo, come voleva Pirandello, è vero sentimento del contrario ovvero capacità di lettura del paradosso nell’assurdo dell’esistenza e tanto più è leggero quanto più alto è il grado di distillazione della malinconia. Nei loro testi satirici e anche schiettamente comici, si ritrova infatti quella leggerezza surreale, quel senso del paradosso che, sorprende il lettore e gli rivela all’improvviso, in un dialogo o in un aforisma,  una verità tanto profonda quando inattesa.

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Esame di moralismo

“Lei è moralista?Esprima un giudizio pessimistico sugli italiani.” “Sono dei dongiovanni sul piede di casa che all’estero si lamentano del continuo caffè e a casa consumano più brillantina che carta”. “Bene. Definisca scherzosamente la situazione politica in Italia”. “La situazione politica in Italia è grave ma non è seria”.”Ne dia un giudizio più amaro”. ” Sono un sincero democratico, ma certe cose mi fanno arrossire di rabbia e di vergogna; penso perciò che gli Italiani siano irrimediabilmente fatti per la dittatura”.”Accenni con disinvoltura al suo passato fascista”. ” Ero studente, allora, e la mia attività si riduceva a svolgere un’azione tanto ingenua quanto inascoltata nella mia organizzazione”.”Accenni, con prudenza, alla sua attività di partigiano”.Fu soltanto negli ultimi tempi che ebbi l’onore, ché tale lo consideravo, di partecipare a un modesto movimento: il mio, debbo dire, malfermo entusiasmo, e la mia azione critica, non furono tuttavia gradite.” “Magnifico. Adesso sia spiritosamente antipatriottico” “Come Saturno, di cui portava ab antiquo il nome, questa terra non riesce a perdonarsi di averci dato i natali”.”Una domanda facile: che cosa fa, lei, ogni volta che va in treno?”Scrivo un pungente articolo sui miei occasionali compagni di viaggio”.”Mettendoli in ridicolo?” “Sì, “et pur cause”!””come, se è lecito?” “Riportando i loro discorsi e sottolineandone l’assenza di logica,di senso politico, di serietà, e di educazione civile e patriottica”.[…]”Frequenta lei i salotti?” “Forcément, per studiare la decadenza delle classi borghesi”. “Frequenta le case di tolleranza?” “Per studiare la spaventosa condizione delle mercenarie”.”Frequenta i ristoranti?””Per bollare, nei miei scritti, le persone che occupano gli altri tavoli”[…]”E a teatro, ci va? “Ci andrei,ma non sopporto gli intervalli” “La ragione, prego?””Negli intervalli gli spettatori discutono di argomenti che non conoscono”.

Ennio Flaiano, Diario notturno

 
 
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Giornalismo ’45-’46
Portai il mio primo articoletto al quotidiano del pomeriggio che mi aveva invitato a collaborare.
Era un pezzettino scritto col miglior garbo possibile, che m’era costato molta fatica, e lo presentai sicuro di me al redattore capo del giornale.
«Debole» disse il redattore capo restituendomi il foglio. «Così non può andare. Cerca di renderlo più interessante, più movimentato.» Rimasi un po’ male, a ogni modo promisi che me lo sarei riguardato attentamente. Onestamente però non potevo assicurargli che sarei riuscito a movimentarlo molto. «È un pezzo piuttosto di colore» conclusi. «Risulta un po’ difficile movimentare i pezzi di colore.»
«E chi ti parla del pezzo?» replicò il redattore capo. «Il pezzo non mi interessa, non l’ho neanche letto. Mi interessa il titolo e io parlo appunto e solo del titolo.»
Si trattava di un pezzettino d’attualità per quei giorni: parlava di un bambino che si rigira nel suo letto aspettando con impazienza il mattino per correre a vedere cosa gli ha portato la Befana. E perciò avevo trovato naturale intitolarlo: La calza sotto il camino.Effettivamente era un po’ debole e io rinforzai il concetto: Stanotte Gigetto non dorme.«Meglio», disse il redattore capo. «Però non ci siamo ancora: cerca di interessare il lettore. Stuzzica la sua curiosità.»
In questi casi l’interrogativo è quello che ci vuole; perciò modificai con facilità il titolo: Perché Gigetto non dorme stanotte?
«Bene» approvò il redattore capo. Ma poi ci ripensò e scosse il capo. Mettendo Gigetto, la gente avrebbe capito subito che si trattava di una cosetta leggera. Occorreva rimanere più sul vago e sul misterioso.
Ammantai il titolo di mistero: Qualcuno non dorme, stanotte. «Puzza di letterario» disse il «Cambia stile, fa qualcosa di più cronistico, di più moderno. Sfogliati la raccolta, cerca di adeguarti allo stile del giornale.»
Sfogliai la raccolta, cercai di adeguarmi, ed ecco tre nuovi titoli: Dormire e no.
Dan, dan, dan, già le tre, ma lui duro! — E aspetta aspetta, non arriva mai questa porca mattina.
Il redattore capo disse che la gente ama le cose forti: il fatto bisogna sempre “montarlo”, non presentarlo come uno scherzo. Drammatizzare, non ironizzare.Drammatizzai e ottenni cinque titoli interessanti:
Cosa succede nell’altra stanza? — Passi si udranno nel buio ? — Chi è la vecchia misteriosa che va in giro di notte? — Vecchia di notte. — Notturno con vecchia.
«Ci siamo» esclamò il redattore capo. «Punta tutto sulla vecchia: le vecchie rendono moltissimo, in cronaca. Le vecchie interessano sempre.» Si mise egli stesso al lavoro, e alla fine mi lesse il risultato:
Una vecchia urla nella notte — Attenzione! Vecchia che urla in via Pacini. — Accorrete,sgozzano la vecchia del quinto piano! — Aiuto! Sbudellano la vecchia e il sangue scorre per le scale rosso e fumante come vino brulé! Stabilì che l’ultimo era il migliore e mi chiese se mi piacesse.
«Molto» risposi. «Però nel mio pezzo non si parla di delitti, si parla di un bambino che si rigira nelletto aspettando la Befana.»
«Benissimo» esclamò il redattore capo. «Il bambino veglia nella notte aspettando la Befana, ed ecco che a un tratto ode un grido: nella casa vicina hanno sgozzato una vecchia e lui allora crede che si tratti della vecchia Befana e piange disperatamente col viso affondato nel cuscino. Lo modifichi in due minuti, il pezzo, e ottieni anche un finale commovente.»
«E la vecchia sgozzata? Vuoi inventare un delitto?»
«Ma che inventare! Tu non precisare località: figurati se stanotte in tutta Milano non sgozzano una vecchia.»
Effettivamente, quella notte, una vecchia fu sgozzata e magari ci fu effettivamente qualche Gigino che udì il grido e pensò che avessero assassinato la Befana.
Ma questo sistema della cronaca preventiva non mi va giù: ai miei tempi prima si lasciava che accadesse il fatto e poi lo si raccontava, e non si permetteva che, per amor di un bel titolo, si sgozzassero le vecchie signore.

Giovannino Guareschi, Lo Zibaldino

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Qui il testo integrale dell’Esame di moralismo;

Qui il testo integrale de Lo Zibaldino