Il regno di Polemos. James Hillman e Il trono di spade 

La serie Il trono di spade (Game of Thrones), prodotta da HBO e ispirata alle Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R. Martin è stata definita l’epopea della nostra epoca. Un successo planetario, corale, unanime, un fenomeno di massa che si è rapidamente trasformato in un fenomeno culturale, nel senso che ha cambiato la nostra percezione, la nostra visione del mondo, tra un prima e un dopo. Eppure si tratta di una serie terribile e cruenta, in cui nulla viene risparmiato allo spettatore in termini di brutalità, crudeltà e sangue. Perché allora tanto successo? Senza alcuna pretesa di esaustività, condivido qui le riflessioni che questa serie mi ha suscitato. Questa serie, infatti, appare l’illustrazione perfetta di uno splendido saggio di James Hillman, Un terribile amore per la guerra, dedicato all’analisi di questo fenomeno come costituente ineludibile della nostra essenza umana. Per comprendere davvero la natura della guerra, sostiene Hillman, occorre rinunciare alla retorica (ipocrita) della pace, e avventurarsi nello “stato marziale” dell’anima accettandone il rischio e lo scandalo:

Se non spingiamo l’immaginazione dentro lo stato marziale dell’anima, non potremo comprenderne la forza di attrazione. In altre parole, occorre “andare alla guerra”, e questo libro vuole essere una chiamata alle armi per la nostra mente. (…)Dovremo accantonare il nostro disprezzo di civili e il nostro orrore di pacifisti, la legittima intima avversione per tutto ciò che riguarda eserciti e guerrieri. (…) Se la guerra è una componente primordiale dell’essere, allora la guerra genera la struttura stessa dell’esistenza e del nostro pensiero su di essa: le nostre idee di universo, di religione, di etica; il tipo di pensiero alla base della logica aristotelica degli opposti, delle antinomie kantiane, della selezione naturale di Darwin, della lotta di classe marxiana e perfino della freudiana rimozione dell’Es da parte dell’Io e del Super-io. Noi pensiamo secondo la categoria della guerra .(…)

Le quattro affermazioni con cui Hillman intitola le altrettante sezioni del libro appaiono scandalose appunto perché confliggono con la normale condanna etica della guerra che tutti necessariamente professiamo, e che è sancita, non in ultimo, anche dall‘art. 11 della nostra Costituzione; Hillman sostiene infatti, e vedremo in che senso, che la guerra sia "normale”, “inumana”,” sublime”, e che la religione stessa sia guerra. Il libro richiede uno sforzo per essere affrontato, la sconfitta di tutte le nostre naturali (?) resistenze e repulsioni contro il sangue, la violenza, la morte, la suprema alterazione della norma civile e politica che la guerra essenzialmente costituisce.

ALLERTA SPOILER– Poiché nel post saranno numerosi i riferimenti alle vicende e ai personaggi della serie,se non l’avete ancora vista ed avete intenzione di farlo, è forse il caso che per il momento vi asteniate dal proseguire la lettura; tenete inoltre conto del fatto che, per brevità e scorrevolezza, i riferimenti agli eventi della storia saranno effettuati sì in forma intelligibile per chiunque, ma sostanzialmente presupponendone la conoscenza, senza ulteriori link analitici di rimando che per il loro numero renderebbero il post illeggibile.


 

LA GUERRA E’ NORMALE – Già dall’inizio del suo libro Hillman «provoca» (nel senso alto di «chiamare in causa») i suoi lettori affermando la normalità della guerra, intendendo con questo non soltanto la sua frequenza pressoché ininterrotta nella storia umana («Nei cinquemilaseicento anni di storia scritta, sono registrate quattordicimilaseicento guerre: una media di due o tre per ogni anno di storia umana»), nonché la sua «ubiquità» in ogni angolo del pianeta, ma soprattutto il fatto che essa costituisca di per sé una norma, un ideale psichico ineludibile in quanto parte profonda della nostra natura (rimossa) di animali predatori e che anzi tende ad imporsi e a fagocitare qualsiasi altro sistema di valori o modello di vita, sociale e civile, alternativo ad essa:

Se la guerra è il padre del cosmo (Eraclito), se l’essere si rivela come guerra (Lévinas), se lo stato di natura è uno stato di guerra (Kant), essa deve essere la norma prima, il paradigma sul quale misurare tutto il resto e che permea l’esistenza e dunque anche la nostra come individui e come società. Quindi la guerra è permanente, non irrompente; necessaria, non contingente; è la tragedia che fa impallidire ogni altra(…).

Naturalmente, aggiunge Hillman, poiché l’unico soggetto della guerra è lo Stato (quindi sempre un soggetto politico, mai riconducibile ad un individuo anche nei regimi assolutistici), per garantire e giustificare l’avvio o la permanenza della condizione conflittuale, che è in fondo necessaria alla propria autolegittimazione, è essenziale che esso individui sempre un Nemico da combattere. E non è affatto necessario che questo nemico sia reale: per suscitare le paure legate all’eventualità di un’aggressione e alla minaccia della sopravvivenza è più che sufficiente la semplice «idea» del Nemico, dell’Altro-da-noi- la cui esistenza diviene all’improvviso antitetica rispetto alla nostra:

Indispensabile per la guerra, causa della guerra non è il nemico, bensì l’immaginazione. E’ l’immaginazione la forza propulsiva, specie se è stata precondizionata dai media, dalla scuola e dalla religione, e alimentata con propaganda aggressiva e patetismi bigotti per il bisogno di nemici che lo Stato ha. Il fantasma immaginato si gonfia e oscura l’orizzonte, blocca la vista.[…] Se il nemico è il male, allora qualsiasi mezzo usato per contrastarlo è ipso facto buono. Se il nemico è un predatore (si pensi ai film di mostri, di dinosauri, di gangster), allora ogni mezzo è lecito. Se il nemico è un ostacolo alla nostra sopravvivenza, alla nostra affermazione, alla nostra autoesaltazione, allora abbattiamolo, cancelliamolo.

Henri Rousseau detto Il Doganiere, La guerra (part.)

La conflittualità in Game of Thrones è, dall’inizio alla fine, una condizione permanente. L’esordio effettivo della vicenda è legato alla minaccia dei White Walkers ( i Camminatori Bianchi, divenuti nella traduzione italiana, chissà perché, gli Estranei), un esercito di morti viventi il cui capo, il Re delle Tenebre, minaccia continuamente di attraversare la Grande Barriera del Nord, che separa il confine settentrionale dei Sette Regni dalle popolazioni selvagge dell’estremo Nord, per mettere fine alla vita e instaurare così il regno della notte senza fine, vale a dire dell’oblio e della morte. Questa minaccia tuttavia, deflagrerà soltanto nella parte finale della vicenda; tutto il resto della storia è dedicato infatti alle lotte dei contendenti al trono in seguito alla morte del re Robert Baratheon, da molti definito un usurpatore per aver assassiato Egon Targaryen, il Re Folle appartenente alla precedente dinastia. Il trono è occupato dal crudelissimo Jeoffrey, primogenito del re, in realtà frutto dell’amore incestuoso tra la regina Cersei e il fratello Jamie Lannister; proprio le atrocità commesse da Jeoffrey contro la casata degli Stark (il re Robert era il più stretto amico di Eddard Stark,signore del regno settentrionale di Grande Inverno) scateneranno una ininterrotta serie di conflitti tra le varie casate dei Sette Regni dell’Ovest, dove ogni crimine compiuto accende un inesausto desiderio di vendetta e porta continuamente a rompere e a formare nuove alleanze, a coglier pretesti per continui scontri destinati a ricomporsi soltanto alla fine della storia, destinata anch’essa a dissolversi una volta venuto meno ogni motivo di contesa.


 

LA GUERRA E’ INUMANA – Anche in questo caso, per Hillman l’aggettivo si carica di un valore polisemico, pregno di molteplici significati. Certo, la guerra è «inumana» innanzitutto nel senso di «dis-umana», il teatro in cui vengono perpetrati crudeltà e crimini di ogni sorta, al di fuori di essa assolutamente inimmaginabili e intollerabili. Ma l’atrocità stessa della guerra va spiegata, per Hillman, accogliendo il concetto di «inumano» in un’accezione ben più profonda: nella sua dimensione di azione assoluta, pura e cieca, che non lascia alcuno spazio all’esitazione o alla riflessione, gli individui vengono presi, o meglio invasati, dalla potenza demonica di Ares, il dio della guerra, vale a dire la sua essenza archetipica, che piega i mortali al proprio volere sottraendoli alla loro dimensione umana e facendo di essi un mero strumento del proprio perpetuarsi:

Poiché la sua autonomia genera il suo stesso impeto, la guerra non ha altra causa che se stessa(…) L’inumanità della guerra svela la verità della guerra: le sue origini esulano dalla sfera umana, dall’umano controllo. (…) Adesso siamo in grado di vedere che l’inumanità della guerra deriva dalla sua autonomia e che tale autonomia ne disvela la natura di azione mitica, nel cui contesto diventano comprensibili sia (come sacrificio rituale) lo spargimento di sangue che la caratterizza, sia la sua peculiare immortalità, il fatto che non si possa mai farla cessare.

Gli episodi di inumanità (nel senso di crudeltà) rappresentati ne Il trono di spade sono innumerevoli, sia nei duelli personali, sia nella carneficina delle battaglie. Tra i più impressionanti, certamente, l’accanirsi dei Lannister contro Ned Stark, ingiustamente accusato di tradimento e ritenuto colpevole della morte di re Robert, decapitato sulla pubblica piazza sotto gli occhi delle due figlie Arya e Sansa, costrette da Jeoffrey ad assistere all’esecuzione; gli omicidi compiuti da Theon Grejoy a Grande Inverno, compreso quello di due bambini innocenti uccisi e bruciati facendo credere a tutti che fossero gli ultimi eredi maschi degli Stark; le torture di Ramsay Bolton, sadico e sanguinario aspirante al controllo del Regno del Nord, inflitte a Theon caduto suo prigioniero (tra cui strappamento delle unghie ed evirazione); le nozze rosse, in cui Robb Stark, figlio di Ned e proclamato Re del Nord dopo il brutale assassinio di suo padre, viene massacrato assieme alla madre e alla moglie incinta nella casa del vecchio Walder Frey, in occasione di un matrimonio tra la figlia di Frey e il cugino di Robb, Edmure, che avrebbe dovuto ricucire lo strappo tra gli alleati dopo la mancata promessa di Robb di sposare la figlia di Frey. Ma soprattutto, la regina dell’inumano, l’incarnazione stessa della natura archetipica, divina, della guerra, è certamente Daenerys Targaryen, la Madre dei Draghi, Nata dalla tempesta (classici attributi mitici) che non esita ad uccidere, facendoli appunto incenerire dal drago, le classi dirigenti delle città ad Est del Mare Stretto che ella intende conquistare per liberare gli oppressi dalla schiavitù. La stessa sorte sarà poi riservata da Daenerys a tutti i suoi nemici, fino ad arrivare, per odio contro Cersei Lannister, la potente e crudele regnante, a dare alle fiamme l’intera capitale, Approdo del Re, del tutto incurante delle migliaia di vittime innocenti. Significativamente, anche Cersei non si dà il minimo pensiero della sorte dei propri soldati o dei propri sudditi, come più volte dichiara, completamente accecata dall’ossessione per il potere e dall’ebbrezza del conflitto, davanti alla quale si eclissa ogni elemento razionale o strategico, e perfino l’istinto stesso di sopravvivenza.


 

LA GUERRA E’ SUBLIME– Proprio la sua natura di azione mitica, come si diceva, fa sì che la guerra sia un fenomeno complesso, politeistico, in cui molteplici e diverse sono le potenze archetipiche che agiscono. Tra queste si impone su tutte Venere, che dal mito è legata a Marte indissolubilmente. L’archetipo di Venere agisce, anche questo, a più livelli: il primo è certamente quello estetico, con la bellezza delle uniformi e delle armi stesse, delle parate militari e dello schieramento dell’esercito, nonché nell’estetizzazione stessa dello scontro fisico e della battaglia immortalato in alcuni tra i più grandi capolavori della storia dell’arte, dalla Battaglia di San Romano alla Battaglia di Anghiari, alla stessa Guernica e della letteratura, da Sun-Tzu a Cesare, da Machiavelli a von Clausewitz, a Tolstoj- a Vasilij Grossman). Ma ad un livello ben più profondo, tra gli orrori della guerra, e solo tra di essi – ed è il più straziante ed atroce paradosso- può nascere il più sublime dei sentimenti umani, e nel suo grado più alto:«profondamente sconcertante è il desiderio inestinguibile di aiutare gli altri, quel morire per amore che rende gli uomini coraggiosi oltre ogni ragionevolezza. Comprendere la guerra significa comprendere la qualità, la natura, dell’amore di guerra».

S.Botticelli, Venere e Marte

Per spiegare la natura di « questo amore diverso da ogni altro », un amore che realizza il sé nella sua dimensione più piena proprio grazie al sacrificio, Hillman ricorre al pensiero di Emmanuel Lévinas, al concetto di Io etico che realizza pienamente il proprio essere solo nell’assunzione della responsabilità verso l’Altro, della risposta al grido di aiuto di cui egli è portatore. Ebbene, secondo Hillman è solo nel contesto di un’esperienza assoluta e totalizzante come la guerra, in cui tutto si riduce in definitiva al dualismo estremo Morte/Vita, che l’eticità si realizza e si rivela nella sua essenza sublime:

E’ là, nel fango sotto il fuoco nemico, che divento una persona supremamente etica. Divento altruista nella mia essenza, non in quanto obbedisco al comandamento di amare, bensì per l’ontologia della guerra, perché la guerra si rivela come l’essere stesso, il che chiama in gioco tutto il mio potenziale di responsabilità, la responsabilità fino alla morte, il cui orrore non è minimamente trasformato dall’amore.

Il sublime celato e rivelato dall’orrore non è certamente estraneo a Il trono di spade. Tra i motivi del grande successo della serie c’è il fatto che questa non si riduce ad un mero susseguirsi di combattimenti cruenti fino al parossismo, il che l’avrebbe certamente fatta scadere al livello di tanta produzione deteriore, quanto il fatto che, tra le atrocità peggiori emergono gesti della più pura umanità anche da parte dei personaggi più insospettabili. Sandor Clegane, Il Mastino, il boia che ha ucciso Ned Stark, vorrebbe portare in salvo la giovane Sansa dalla battaglia navale di Approdo del Re chiamandola “uccellino”, e si prenderà amorevolmente cura della giovane Arya, che pure vuole ucciderlo ; . Mance Rayder, il Re del Nord Oltre la Barriera, si lascia uccidere dai Guardiani della Notte per salvare il suo popolo; il crudele Jaime Lannister, che pure aveva spinto il piccolo Brandon Stark gù dalla torre di Grande Inverno perché, arrampicatosi, lo aveva colto nel flagrante di un rapporto con sua sorella, si farà tagliare la mano destra per difendere l’onore di Brienne di Tarth, la vergine guerriera devota agli Stark che lo sta riaccompagnando ad Approdo del Re per uno scambio di prigionieri su ordine di Catilyn Star , la vedova di Ned che spera di riavere indietro le figlie; sublimi sono la devozione assoluta di Brienne per Sansa ed Arya dopo la morte di Catilyn e il suo amore purissimo prima per Raily Bartheon (fratellastro del re Robert) e per lo stesso Jaimie; sublime il personaggio di Jon Snow, il bastardo reietto di Ned Stark, che si scoprirà poi essere di sangue reale, capace del totale sacrificio di sé in nome dei compagni e in nome, in definitiva, dell’umanità intera (con una fin troppo evidente allusione cristologica, confermata peraltro dalla sua resurrezione ad opera di Melisandre, di cui parleremo più avanti).


 

LA RELIGIONE E’ GUERRA– «Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a mettervi la pace, ma la spada.  Perché io sono venuto a mettere disaccordo tra figlio e padre, tra figlia e madre, tra nuora e suocera,  e i nemici dell’uomo saranno quelli di casa sua». (Matteo,10, 34- 36). Nell’ultimo, terribile capitolo del suo saggio, Hillman sferra il suo affondo contro la belligeranza degli Stati Uniti, protagonisti o promotori di quasi tutti i maggiori conflitti verificatisi a partire dal secondo dopoguerra (dalla Corea al Vietnam, dal Golfo ai Balcani all’Afghanistan), spesso nel ruolo paradossale di «operatori di pace». Quest’attitudine irresistibile, quest’elemento costituente del carattere nazionale americano sarebbe da ricondurre, secondo Hillman, ai valori cristiani sotto il cui segno si è posta la nascita stessa della nazione:

Me la prendo tanto con il cristianesimo americano in particolare perché gli Stati Uniti sono la nazione militarmente più potente e insieme la più cristiana. Se la religione è guerra, allora gli Stati Uniti rappresentano oggi la riprova esemplare della mia tesi. E non solo oggi, in verità. Violenza dilagante e settarismo religioso vanno di pari passo lungo tutta la loro storia e rendono palese il loro destino fin dai primi coloni.

L’inconciliabilità dei due princìpi, avverte Hillman, è solo apparente, e dovuta alla profonda opera di rimozione della natura essenzialmente marziale del cristianesimo. Come dimostrano numerosi studi antropologici, nella figura di Cristo confluiscono numerosi elementi propri della mitologia pagana, dalla eterna resurrezione del Sol Invictus alla passione e al vino di Dioniso, dalla scampata strage degli innocenti di Zeus alla morte prematura e violenta di Attis e Adone. E tra queste divinità ha un ruolo cruciale appunto Marte, a partire dal momento in cui Costantino fa della croce l’insegna della propria vittoria. Già dal III secolo, del resto, i cristiani cominciarono a definire sé stessi «militia Christi»; l‘editto di Tessalonica ne sancirà ufficialmente l’ascesa da perseguitati a persecutori. A differenza del mito, infatti, poliedrico e contraddittorio, che mai pretende di imporsi come verità assoluta, la religione cristiana si basa sulla fede nella verità della Parola rivelata , la fede pretende di imporre sé stessa attraverso l’azione fanatica dei suoi credenti. Se la conversione all’unico vero dio, quale è sempre quello delle religioni monoteistiche, non viene spontaneamente accettata, verrà inevitabilmente imposta con la forza, ed a qualunque costo. Ed è questo che rivela, alla fine, il senso del paradosso della religione come guerra perché ogni vera fede ha come obiettivo quella di essere assoluta e dominante, di trasformarsi cioè in definitiva in strumento del potere. E poco importa se si parla, con un ossimoro atrocemente beffardo, di fede nei valori laici, primo tra tutti la democrazia: la sua «esportazione » in tutto il mondo, avverrà sempre con gli strumenti implacabili di Marte. La conciliazione tra valori cristiani e uso di armi, stragi e omicidi di massa (il Male compiuto in nome del Bene) può essere tollerata e giustificata solo in base a quella particolare ipocrisia che Hillman ritiene costitutiva dello spirito nazionale americano:

L’ipocrisia in America non è un peccato, ma una necessità e uno stile di vita. L’ipocrisia rende possibile la proliferazione di armamenti di distruzione di massa fianco a fianco con la proliferazione di chiese, culti ed enti di beneficenza. L’ipocrisia tiene insieme la nazione(...) In quale altro modo, se non in virtù dell’ipocrisia, si può vivere la croce schiacciante del paradosso cristiano: intolleranza arrogante e repressione crudele nel mentre si professano buona volontà, carità e salvazione da parte di un Signore misericordioso?

L’ipocrisia è, per Hillman, figlia dellinnocenza in senso junghiano, di un’accezione del cristianesimo per “anime belle” che rifugge dal (ri)conoscerne il lato oscuro, aggressivo, marziale. Ma il cristianesimo, come tutte le religioni rivelate, non può limitarsi al mero sacrificio dell’Innocente; l’immagine finale con cui, alla fine dei tempi, si concluderà la parabola cristiana, come ci ricorda Giovanni nella sua oscura e terribile Apocalisse non è la misericordia, ma l’ira tremenda di Cristo che porta alla distruzione del mondo. E tra i suoi quattro cavalieri, campeggia, invincibile, Guerra:

In una civiltà cristiana, la cruda realtà della guerra ricompone l’immagine completa dell’Agnello, che include la sua Ira, rendendo la guerra ancora più intollerabile per i cristiani, perché essa rivela la presenza di Ares al fondo della loro fede.

Anche ne Il trono di spade la religione riveste un ruolo fondamentale nell’alimentare lo stato di conflitto permanente. Religione ufficiale di Westeros, il Continente occidentale, è il Culto dei Sette dèi, a capo del quale c’è una clero dalla rigorosa e intransigente gerarchia che non manca di far sentire il proprio peso politico, e giunge addirittura ad assumere, per un breve periodo, il controllo assoluto della capitale ; ma a questa religione ufficiale se ne oppone un’altra, giunta dalle rive orientali del Mare Stretto, rigidamente monoteistica e  non esente da fanatismo: il culto di R’hllor, il Signore della Luce, legato all’elemento del fuoco e simboleggiato appunto da un cuore fiammeggiante e in perenne lotta contro il Cavaliere delle Tenebre, suo innominabile avversario. Il dio impone terribili sacrifici umani, ma può anche realizzare la resurrezione dei corpi; la sua natura ambivalente si riflette nella condotta dei suoi ministri,i Pretin1542225934183182785 , tra i quali campeggia la figura enigmatica di Melisandre,  la sacerdotessa che nelle sue visioni di fuoco ha creduto di individuare in uno degli aspiranti al trono, Stannis Baratheon, fratello del re ucciso, l’incarnazione di Azor Ahai, il Messia dalla spada di Luce destinato a sconfiggere per sempre l’oscurità. Melisandre, certà dell’infallibilità della profezia, fa muovere Stannis in armi contro il proprio fratello Renly fino ad ucciderlo di propria mano e a compiere ogni sorta di atrocità, compreso il sacrificio della propria figlioletta Shireen, bruciata viva per propiziarsi la vittoria contro l’esercito di Grande Inverno ( e qui è impossibile non ricordarsi del sacrificio di Ifigenia, la più nota ed innocente vittima dell’esercito greco diretto a Troia). Quando Melisandre si renderà conto del suo terribile errore sarà troppo tardi: Stannis, sconfitto a Grande Inverno, sarà condannato a morte da Brienne per vendicare Renly, e a lei, dopo aver resuscitato Jon Snow, non resterà che  lasciarsi morire  dopo aver affiancato l’esercito dei vivi nella battaglia finale contro il Re delle Tenebre.

 


Con il capitolo dedicato all’identità tra guerra e religione, questo intenso, originale e scandaloso saggio di James Hillman si conclude. Resta la domanda sul perché valga la pena di profondere tante energie per tentare di comprendere un fenomeno che per definizione si vorrebbe cieco e irrazionale, e peraltro fortunatamente lontano da quasi tutti noi, che abitiamo le Terre Occidentali del mondo reale. Più volte, nel corso della sua opera, Hillman insiste su un altro paradosso, vale a dire come la riflessione sulla guerra, per quanto dolorosa e difficile, sia «un bene per la nostra mente», perché mantiene all’erta i nostri sensi rendendoli capaci di una lettura del reale più lucida e penetrante salvandoci così dall’«ottundimento psichico» indotto dal senso comune in tempo di pace, caratterizzata nella nostra società da un « soporifero e infantilistico coccolamento» così come da un «frenetico sovraccarico di stimoli». . Al contrario- e qui Hillman cita Machiavelli- il principe, o il cittadino impegnato e responsabile che abbia a cuore la sorte della comunità, non «leverà mai il pensiero dalla guerra», mantenendo «la mente concentrata, non distratta dalle molteplici diversioni della pace, e la psiche libera sia dall’ottundimento sia dall’uso della negazione[ dell’atroce realtà della guerra stessa]»

Per questo sarebbe essenziale che la visione de Il trono di spade non fosse soltanto ridotta ad un consumo effimero, pronta ad essere indifferentemente archiviata e sostituita con un’altra qualsiasi delle pur eccellenti produzioni offerte dal mercato dell’intrattenimento, ma lungamente meditata, perchè un esempio prezioso di ciò che la guerra (vale a dire il potere) compie concretamente contro i corpi: torture, mutilazioni, sevizie, decapitazioni, esecuzioni, omicidi di ogni tipo sono ripetutamente rappresentati in una sorta di antologia dell’orrore (la rappresentazione dei nemici come «flesh and blood», carne e sangue, è una delleformule più volte riprese nella serie).

Infatti, rispetto ad infinite altre rappresentazioni cinematografiche in cui la rappresentazione della guerra viene estetizzata o di fatto sterilizzata prendendo le distanze dai morti (quasi sempre soltanto nemici) e ricorrendo ad una comoda visione manichea che distingua infallibilmente i Buoni dai Cattivi, Game of Thrones ha il merito di superare i tabù e gli eufemismi, mostrando il volto terribile del conflitto, rinunciando all’astrazione dei morti e alla presenza degli eroi ( che non ci sono; tutti i personaggi si presentano notevolmente complessi e ambigui, rendendo quindi ogni dicotomia tra il Bene e il Male di fatto impossibile.

Game of Thrones può essere considerato dunque una sorta di epicedio del genere epico, ripreso ma rovesciato completamente dall’interno: qui non ci sono gesta o vincitori da celebrare, c’è solo il massacro a cui conduce la lotta per il potere, che mostra come la guerra stessa, cieca, inumana, che nutre e genera sé stessa, ne sia sempre la sola, terribile trionfatrice .


RISORSE E NOTE A MARGINE

-Tutto quello che vorreste sapere e anche quello he non avreste mai immaginato di voler sapere a proposito de Il trono di spade e delle Cronache del ghiaccio e del fuoco lo trovate qui;

-Che Il trono di spade, nonostante sia un’opera fantastica, tragga ispirazione da vicende storiche realmente accadute è evidente allo spettatore più profano, a cui saranno venute in mente almeno il Vallum Adriani trasfigurato nella Barriera di Ghiaccio e lo scontro tra York e Lancaster nello scontro tra Stark e Lannister (che richiamano le due famiglie anche con la consonanza dei nomi). Qui, in questo articolo della rivista Focus, un repertorio degli eventi storici fantasticamente trasposti nelle Cronache del ghiaccio e del fuoco;

-Su Game of Thrones e sui romanzi di George R. Martin , le riflessioni del blog Il tempo di leggere;

-Per approfondire  natura e ruolo della religione  ne Il trono di spade, questo interessante post a firma di Alessandro Porto;

-Le testimonianze riportate nel libro di Hillman sono quasi tutte autentiche e relative ad eventi realmente accaduti e documentati, spesso grazie alla voce degli stessi protagonisti, anche se non manca la presenza di molte pagine della letteratura, a cominciare dallInno omerico ad Ares , di cui l’autore non manca di notare la paradossale natura di invocazione al dio come guida alla ponderazione e alla lentezza, prima che il precipitarsi nell’azione diventi irrimediabile;

Il trono di spade non è certo l’unica rappresentazione della guerra che si presti ad un’interpretazione in base alle categorie hillmaniane qui sopra descritte; la scelta mi è stata tuttavia suggerita dalla sua stessa natura di racconto mitico ed epico, e come tale simbolico di tutti i conflitti reali che hanno insanguinato e insanguinano il pianeta;

-A me, personalmente, l’episodio di Daenerys che incenerisce con furia cieca e omicida gli abitanti e le case della capitale King’sLanding (Approdo del Re) ha inevitabilmente fatto pensare alle terribili bombe di fuoco lanciate dagli alleati sulle città tedesche durante la seconda Guerra mondiale, indelebilmente rievocate e documentate da W.G . Sebald in Storia naturale della distruzione;

-Sul sublime dell’umano tra gli orrori della guerra ha scritto, facendone la propria cifra, pagine indimenticabili Vasilij Grossman, nel suo capolavoro Vita e destino ; tra le tante, vorrei citare almeno quella dell’incontro tra un prigioniero tedesco costretto a trasportare i cadaveri delle vittime sovietiche fuori dalla sede della Gestapo a Stalingrado e una vecchia donna del popolo, che non smette di guardarlo fisso avvicinandosi verso di lui:

Quella volta l’ufficiale e il soldato uscirono dal sotterraneo con un passo leggermente più deciso: il carico era leggero. Sulla barella c’era il corpo di una ragazza, un’adolescente. Il cadavere era tutto raggomitolato, rinsecchito, e solo i capelli chiari e arruffati serbavano l’incanto luminoso del latte e del grano, sparsi intorno al viso orrendo e brunastro di quell’uccellino ferito a morte. Un sospiro si levò fra la folla.

La donna si rialzò e andò verso il tedesco. La videro tutti: lo fissava, e intanto i suoi occhi cercavano un mattone che il gelo non avesse incollato per sempre ad altri mattoni, un mattone che la sua grossa mano deformata dal troppo lavoro, dall’acqua troppo fredda o troppo calda e dalla candeggina potesse staccare.

La sentinella capì che stava per accadere qualcosa di inevitabile, capì di non poter fermare una donna che era più forte di lui e del suo mitra. I soldati tedeschi non riuscivano a distogliere lo sguardo, i bambini la fissavano impazienti.

Poi toccò al grido lancinante della donna tarchiata, e fu come se una lama avesse lacerato l’aria fredda.

«Bambina! Bambina mia! Tesoro adorato!».

Quell’urlo per un figlio che non era il suo scosse la folla. La donna si diede a sistemare intorno al viso del cadavere quei capelli che apparivano ancora ondulati. Fissava quel viso, la bocca storta, impietrita, e insieme all’orrore vedeva anche – come solo una madre può fare – il viso vivo e amato che un giorno le aveva sorriso dalle fasce.

La donna si rialzò e andò verso il tedesco.Senza capire cosa le stesse succedendo, latrice e vittima di una forza che aveva soggiogato a sé ogni cosa, la vecchia cercò tentoni nella tasca della giacca un pezzo di pane che un soldato le aveva regalato il giorno prima, lo porse al tedesco e disse:

«Tieni, mangia».

Sarebbe stata la prima, poi, a non capire come fosse successo e perché.

30 comments

  1. Molto bello e ricco il tuo post. Ho saltato alcuni paragrafi (secondo tua indicazione), non avendo visto una serie che forse – chissà – avrò modo (e voglia) di vedere. È un po’ di tempo che vorrei scrivere anche io qualcosa sulla guerra e sulla sua natura a partire da una prospettiva meno ingenua (il pacifismo a due dimensioni delle “anime belle”). Richiami Levinas, Kant, Eraclito e Marx (e per questo svetta su tutti Hegel e il suo celebrare la guerra, lo scontro dialettico). Mi fai pensare ad Hobbes, all’uomo lupo per l’altro uomo, alla guerra di tutti contro tutti, ma, su tutto, mi fai venire voglia di leggere questo saggio di Hillman. Grazie per la suggestione.

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    1. @tommasoaramaico
      Grazie a te, innanzitutto, per la tua gentile attenzione. In realtà Hobbes è un altro dei riferimenti cardine dell’opera , poiché a lui Hillman riconosce il merito di aver tentato una trattazione esaustiva della guerra oltre tre secoli e mezzo prima- e la verità della sua opera viene, non senza polemica, contrapposta alla pace perpetua di Kant. Anche Marx viene citato ripetutamente, come pure Hannah Arendt, mentre Hegel tende a rimanere sullo sfondo, presenza potente e silenziosa. Ovviamente per le esigenze di leggibilità ho dovuto, come suol dirsi, tagliare con l’accetta riducendo e sintetizzando in modo troppo spesso ingeneroso per la statura dell’opera; ma posso garantirti che il saggio di Hillman è una delle letture in assoluto più originali e potenti che mi sia capitato di fare negli ultimi anni -e che devo, tanto per cambiare, a Gabrilu.
      Quanto a Il trono di spade – di cui pure alla medesima sono debitrice :-)-, posso dire che, pur essendomici accostata con incredulità e scetticismo, ne sono rimasta conquistata e coinvolta aldilà delle mie aspettative; sarò felice di conoscere poi il tuo giudizio, se e quando deciderai di vederla, come pure di leggere – magari presto- un tuo contributo sul tema della guerra, che già pregusto al solito profondo e interessante.
      Un’ultima notzione riguardo alle anime belle (che tanto belle non sono, vista l’ottusità e l’egoismo che spesso le caratterizza): sempre più spesso mi chiedo se non sia la loro ostinata volontà di innocenza, il rifiuto di conoscere il Male per eludere la responsabilità di farsene carico,il vero oppio dei popoli.
      Un caro saluto

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  2. Mi hai ispirato alcune considerazioni con il tuo post sulla guerra, ricco di riferimenti. Te li inserisco qui di seguito e, per la verità, sono ricordi di un,
    interessante convegno sulla violenza di un paio di anni fa tenuto dalle filosofe di Diotima.
    Comincio con due scrittrici.
    La prima è Flannery O’Connor che collega direttamente religione e violenza nei suoi testi. Famosa per il suo Cattolicesimo di diamante ha dato un titolo al suo libro più noto, ‘Il cielo è dei violenti’, tratto dal vangelo di Matteo “Cieli violenti”,11,12: “Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono”, sono parole attribuite a Gesù.
    Un’altra scrittrice a tessere l’elogio della Violenza è stata Clarice Lispector.
    Due donne che non hanno avuto timore di guardare in faccia questa componente dell’umanità e a riconoscerla come reale.
    Qualcuno pensa che l’origine della violenza ci sia il mostro Leviatano, come Hobbes chiama lo Stato mentre un’altra idea è che la violenza ce l’abbiamo dentro e da bambini c’è una forte repressione della violenza.
    La guerra e la violenza sono viste come tratti ineliminabili con i quali l’umanità deve fare i conti dalla psicanalisi già con l’istinto di morte di freudiana memoria che le riconosce proprie dell’uomo.
    E certamente l’argomento è immenso e mai definitivo. Per questo ci torniamo sempre nei romanzi, nei film e nei serial come Il trono di spade, di cui sono stata un’appassionata spettatrice.
    A volte mi viene da sorridere quando molti genitori per educare i bambini a non essere violenti proibiscono loro giocattoli come fucili e pistole. Perché non si può eliminare un’istinto che è stato legato alla sopravvivenza ed è diventato costituito dell’uomo. Si può cercare di governarlo. Con la civiltà e la giustizia, dicono.

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    1. @zapgina
      Ho letto Il cielo è dei violenti e anche alcuni racconti della O’Connor, non meno terribili del romanzo, in cui emerge, se mi passi il termine, tutta la portata devastante di una visione religiosa del mondo. Di Clarice Lispector invece non ho ancora avuto modo di leggere nulla, anche se so che è un’autrice molto apprezzata. E sono d’accordo con te sul fatto che il tema della guerra sia «immenso e mai definitivo», e per questo l’umanità non può- e non deve- mai cessare di farci i conti, discutendone, rappresentandola per cercare, se non di dominarla, quantomeno di contenerla, come tu dici, grazie agi strumenti della ragione, ma pur partendo dal presupposto della loro insufficienza.
      Un caro saluto e grazie per le tue riflessioni 🙂

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  3. E perbacco e perdindirindina. E chi può mai commentare alla presenza di di tutti questi dotti filosofi ? Certo non io. Altri, certo, ma non io. Non sono all’altezza. Me ne torno dunque alle mie serie TV, ai miei film, ai miei libri che sulla guerra dicono tanto. A volte anche molto di più di quello che poi fanno loro dire filosofi, psicologi, sociologi etc. Mi chiedo sempre: ma se li guardassero e basta, senza farsi prendere dall’ansia di prestazione? Senza dovere a tutti i costi dimostrare quanto sono intelligenti? Senza sentisrsi in dovere di dire sempre “ah, ma quando al secondo consesso dell’Olimpo il Sommo Tizio proferì questa…”
    Vabbè, lo so , è una battaglia persa.
    Torno alle mie serie TV
    Su GoT non ho nulla da dire, se non che leggere “sublime” a proposito di quel “m’ama non m’ama – Lo faccio/non lo faccio” di Jon Snow a me fa venire le bolle d’orticaria. Ma son quisquilie, queste.   Jon Snow sta simpatico a tutti. Me ne sono fatta una ragione.

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    1. @Gabrilu
      Beh, pur dichiarando di non avere nulla da dire mi sembra che tu di cose ne abbia dette parecchie, il che è, intrinsecamente, sempre una cosa positiva: se non altro, queste misere noterelle, nel bene e nel male, non ti hanno lasciata indifferente :-).
      Entrando nel merito, poi, cosa risponderti.
      Come esplicitamente dichiarato, gli asterismi di questo blog sono proiezioni più o meno arbitrarie , cioè precipue delle associazioni di idee di chi scrive. Non hanno certo pretesa di verità assolute, ma non per questo, credo, meritano stigmi o censure. Senza contare che, seguendo il criterio del parva componere magnis , magari chi capita per caso su questa pagina per leggere di GoT scopre (o riscopre) James Hillman. O Lévinas. O Vasilij Grossman.E magari, chissà, rimane colpito da almeno uno su tre. O semplicemente attiva il pensiero critico per decidere quanto sia d’accordo o meno con l’interpretazione qui proposta ( anche solo questo, magari fosse).
      Insomma, mettila come vuoi, l’auspicio è sempre lo stesso: invece di limitarci ad emettere grugniti indistinti di approvazione o disappunto di fronte a quanto il mainstream continuamente ci proprina, paulo maiora canamus .
      Un saluto e grazie come sempre

      Ps * ALLERTA SPOILER* A proposito di Jon Snow: guarda che nello specifico io non mi riferivo alla questione del suo amore improponibile per Daenerys e alla sofferta ma sbrigativa scelta dell’omicidio, ma alla sua uccisione da parte dai suoi stessi compagni Guardiani della Notte («<em Uno di voi mi tradirà », per aver cercato l’alleanza dei Bruti oltre la Barriera. Jon Snow ha messo a rischio la propria vita, probabilmente immaginando a cosa andasse incontro, per salvare l’umanità, poché la lotta contro il Re delle Tenebre coinvolge tutto il popolo dei viventi. E Melisandre ha visto la sua morte ma anche il ruolo di trionfatore sulle potenze oscure.
      Più sublime (in senso hillmaniano) e cristologico di così……

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  4. Quanto è limpido, scorrevole e profondamente vero il pensiero di Hillman… Ne hai fatto un bellissimo articolo, letto con grande piacere anche se non seguo la serie televisiva citata. Purtroppo è così; l’uomo ha bisogno della guerra, ossia di sperimentare la contrapposizione estrema vita-morte, con tutto il suo corollario di indicibile violenza, per arrivare a riscoprire (e riattivare) il senso etico interiore, la visione morale della vita, o meglio la propria umanità… Impeccabili, a mio parere, le riflessioni dello studioso sul cristianesimo e sull’ipocrisia americana, grazie per averle riportate (mi procurerò il saggio).

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    1. @Alessandra
      James Hillman è uno scrittore sorprendente per la sua eterodossia, per il suo uscire fuori dalle strade battute, o meglio ripercorrerle solo per poi abbandonarle ed aprire un’altra serie di sentieri collaterali….Finora, nessuno dei suoi libri che ho letto mi ha lasciata indifferente,anzi, ha in un certo senso modificato per sempre il mo sguardo sugli aspetti del reale.
      In questo saggio, poi, prendersela con gli Stati Uniti deve essergli costato molto, come a tutti, credo, costa pensare e parlare male del proprio paese….ma la sua lucidità implacabile gli impedisce di accettare per vera la consunta retorica cristiano-patriottarda, riconoscendone e svelandone l’ipocrisia ( di che lacrime grondi e di che sangue , insomma).
      Un abbraccio e grazie per esserti fermata,mi auguro che anche tu possa amare quanto me questo testo che io davvero ritengo importante (per non dire imprescindibile). E quando lo avrai letto, sarei felice se poi ripassassi di qui ;-))

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  5. Non ho letto i libri e non ho mai visto la serie, nonostante i libri incombano in casa (mio marito – le librerie non sono separate ma anche sì, ovvimente) e io ci faccia un pensiero ogni tanto, che non credo si avvererà mai.
    Hillman è stato l’ossessione amatissima di un mio tempo di vita e davvero, è impossibile non venirne segnati.
    Non commento (dentro mi pesa la voglia di dare forma a una riflessione non ancora sufficientemente maturata su quando mai l’umanità arriverà a liberarsi della religione e a fare, dunque, della guerra, in quanto propria della sua specie e ineliminabile, un prodotto sottoposto a regole culturali dettate dalla ragione; qualcosa di sublimato – eliminato, certo, mai – non potendo l’uomo, per se stesso, rispondere ai bisogni attraverso istinti naturali che non possiede e che sostituisce con la cultura.
    Come sempre, è stato interessante e positivamente disturbante leggerti (e rileggere). E come sempre te ne ringrazio.

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    1. @Ivana Daccò
      « Positivamente disturbante »: credo davvero che non esista complimento migliore, del che ti ringrazio vivamente – perché riuscire a “ disturbare “, cioè dare almeno un minimo di fastidio a pregiudizi e certezze, è sempre l’intento sottaciuto di tutto quanto viene scribacchiato qui :-).
      Quanto alla guerra sublimata , come tu dici, che la ragione sia in grado di dominare , Hillman non solo ribadise più volte come la guerra non sia un rodotto della ragione e che quindi « alla ragione non cede », ma dimostra come in realtà qualsiasi tentativo di assoggettamento razionale possa renderla ancora più mostruosa del corpo a corpo e degli scontri in trincea. Posta sotto la tutela di Atena ed Apollo, gli dèi della strategia e della distanza, la guerra diviene ancor più dis-umana, tranquillamente e freddamente micidiale senza che alla coscienza sia restituito l’orrore del massacro, ridotto ad ologramma immateriale sottratto ai sensi e all’esperienza :

      Oggi la guerra è una devastante operazione high-tech eseguita da tecnici specializzati con un tocco delle dita(…)Altro che furia marziale; la massima freddezza.(…)Al posto di Ares/Marte, le strategie e l’indottrinamento politico di Atena: guerra di parole e di volantini, vincere i cuori e le menti, conversione alla ragione e pianificazione a lungo termine di contromisure ai piani a lungo termine di dirottatori e cospiratori. Al posto di Marte, Ermes: comunicazione invisibile e istantanea su internet, infiltrati travestiti, decriptazione, jamming, ricognizione notturna con visori a raggi infrarossi, intercettazione ambientale, mazzette, regalie, ricompense, riciclaggio del denaro sporco.

      Ancora più minacciosa è l’immaginazione di Apollo, “lungisaettante”, come lo chiama Esiodo, colui che colpisce da lontano con le sue frecce che solcano il cielo: l’immaginazione del distanziamento. Le armi lontano dal fronte, il fronte stesso dissolto, mentre la guerra si trasferisce in cielo, sui satelliti, nello spazio, trasformata dall’immaginazione apollinea in visioni nucleari splendenti più di mille soli (…) lo stile apollineo porta la guerra dentro la città, contro i civili, contro la civiltà (caffè, ambasciate, torri piene di uffici), contro le condutture dell’acqua e dell’elettricità.

      Contro le scuole: i bambini, danni collaterali.

      Intanto, il tecnico, seduto nel suo rifugio davanti al pannello di controllo, schiaccia una serie ordinata di tasti e lancia missili capaci di cancellare una città a centinaia di miglia di distanza. .

      La strada, dunque, non sembra essere quella della ragione, o almeno non del suo impero e del suo arbitrio. Forse- forse- la sola forma di resistenza contro l’orrore è affidata ad una divinità assai meno potente e assai più fragile- Psiche,la sola, però, che sia propria della condizione umana, e che anzi la definisce ( è avere un’anima che ci rende umani nella pienezza del termine).
      Non sarà un caso, come sai bene, che Hillman abbia fatto di Amore e Psiche il mito fondante della sua re-visione della psicologia.
      Un carissimo saluto

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  6. Tutto vero (e ancora *positivamente disturbante* ciò che dici. Io, come detto, ho ancora strada da fare per dare forma di parole a un pensiero che sento, per me, chiaro ma per il quale non trovo *le parole per dirlo*; il che sigifica che non è dicibile e, dunque non è.. Non esiste pensiero senza parole.
    Con lo sguardo di Hillman, ciò che tu dici è vero; e lo sguardo di Hillman non è facilmente confutabile.ma richiede pur sempre di accettarne le premesse che, corrispondendo a uno sguardo, sono, come ogni pensiero, orientate. Danno luogo, dunque, a un percorso *vero* in condizioni date.
    Ripeto: esprimo idee che non ho chiare. Potrei giungere a chiarirmi o a ritrattare tutto. E tuttavia..
    La ragione. Come l’intelligenza. è, credo, multipla.
    Mi chiedo se, accogliendo Hillman, non sia possibile integrarvi altro.
    Ho in testa Gehlen, e Eibl-Eibensfeld – e dunque un approccio totalmente diverso alla cultura. Non necessariamente conflittuale.Dove, se possibile, una sintesi?
    Stato confusionale, temo: ma mi chiedo dove, come, sia possibile, integrando approci diversi, un’espansione; un esito meno determinista: di un determinismo che neppure Hillman sposa, in realtà.
    Non prendermi in parola. Mi fido.

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    1. @Ivana Daccò
      Sono assolutamente d’accordo sul fatto che lo sguardo di Hllman sia orientato ; la sua è una lettura del reale, profonda e potente, a mio avviso, ma pur sempre una tra le molte (infinite?) possibili.
      Certo Hillman stesso rifiuterebbe qualsiasi pretesa di assolutismo; in fondo lui ha condiviso, come dire, i risultati della propria speculazione, la guerra vista ed interpretata attraverso la psicologia mitica. Basta cambiare l’ l’orientamento dello sguardo (espressione weiliana, ed ecco che nel campo entra dell’altro, necessario ad una maggiore completezza dell’immagine. Entrano, ad esempio, Gehlen ed Eibl-Eisbesfeldt, che tu citi e che io non conoscevo assolutamente (mea maxima culpa ), con la loro riflessione sull’uomo e sua comunanza con gli animali, la dicotomia tra pulsioni ed esigenza di controllo, la guerra come strumento razionale di appropiazione delle risorse, sovrastruttura culturale (!!) intrinseca alla dimensione della socialità…..
      Si aprono mondi, insomma, proprio perché «l’argomento è immenso e mai definitivo» come afferma giustamente @zapgina; e allo stesso tempo,questo nostro stesso scambio dimostra che Hillman ha incontrovertibilmente ragione almeno su un punto, quando sostiene che la riflessione sulla guerra acuisce il pensiero e infervora il dibattito, apportando contributi per una sempre più compiuta integrazione delle (infinite) implicazioni del problema. Si tratta insomma, di un « risveglio della coscienza» anche per lo stesso Eibl-Eibesfeldt, che ne scrive nel suo Etologia della guerra:

      La guerra non deriva né da istinti animali degenerati o devianti, né dalla necrofilia o da altre degenerazioni patologiche della vita pulsionale dell’uomo. Non si tratta di un traviamento ormai privo di funzione, bensì di una forma specificamente umana dell’aggres­sione fra i gruppi, che serve ai gruppi di uomini per disputarsi la terra e le risorse. Da queste considerazioni spiacevoli distogliamo volentieri lo sguardo: in realtà desidereremmo davvero vivere in pace e, secondo il principio che «ciò che non dovrebbe esistere non esiste», ci abbandoniamo all’illusione e chiudiamo gli occhi davanti al problema. Ma così il risveglio sarà ben più spiacevole. Perciò è meglio vedere con chiarezza che la guerra svolge funzioni precise e affrontare questa realtà. La guerra assolve determinati compiti, ma questo non significa che essa rappresenti l’unico modo per svolgerli: si possono escogitare soluzioni migliori, le quali però presuppongono che l’uomo comprenda le funzioni della guerra in modo non bellicoso. Nessuno può aspettarsi che le nazioni ridotte all’indigenza perché si vieta loro l’accesso a indispensabili mate­rie prime sopportino passivamente questa situazione. Né si può pretendere che una popolazione vivente in un’area che stia progressivamente diventando inabitabile a causa dei cambiamenti cli­matici aspetti di morire di fame senza far nulla. In situazioni del genere, prima o poi un gruppo intraprenderà qualche azione: l’unica alternativa sarebbe quella di rassegnarsi al destino e di andare a picco.

      Citazione gravida di implicazioni terribili – ma non certo sorprendenti- anche relativamente al nostro presente.
      Un abbraccio e ancora un ringraziamento di cuore 🙂

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  7. Beh, non ci ho pensato ma Eibl e Gehlen forse, oggi, non si leggono più molto – ma restano un mio antico (e presente) amore e credo abbiano ancora molto da dire.
    Di Gehlen, confesso, ho spesso avuto la voglia di parlare; ritirandomi ogni volta in buon ordine, oscillando nella scelta tra “L’uomo” e “Le origini dell’uomo e la tarda cultura”, e rinviando una rilettura impegnativa.
    È stato un autore, a mio parere, geniale e fondamentale, che ha subito, come tutta la sua generazione, il nazismo e, molto giovane, il suo inevitabile richiamo pur se non è davvero possibile ascrivere il suo pensiero a quel modello e non invece al suo contrario.
    In Italia è stato pubblicato da Feltrinelli e da Il Saggiatore, in anni ben trascorsi. Ma certamente, avendo un sicuro apprezzamento tra gli amanti della materia, i suoi libri non hanno avuto chance di notorietà, almeno da noi. Oggi, credo che le sue teorie, il suo pensiero sulle Istituzioni, sarebbero di aiuto.
    Di Eibl Eibesfeldt – altra generazione, è morto da poco – c’è un libro fotografico bellissimo, “Etologia umana. Le basi biologiche e culturali del comportamento”, chissà se lo si trova ancora. Edizione italiana Bollati Boringhieri 1993. Sicuramente in biblioteca. Quel libro, al tempo è stato per me un regalo prezioso ricevuto. Che dire di lui. Allievo di Lorenz, che ha poi spaziato interessandosi dell’uomo. L’etologia umana parte da lui. Poi, credo ci sia solo Diamond (altro autore dei miei desideri, sempre rinviato).
    Concordo totalmente con te, sul tuo commento. Tematica enorme e, oltre che interessante, importante. Oggi più che mai.
    Una tematica le cui domande sicuramente danno luogo a utili proliferazioni.

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    1. @Ivana Daccò
      Il fatto che questi oggi siano autori poco frequentati dà la misura esatta, casomai fossero rimasti dubbi, dell’impoverimento del dibattito. Di Gehlen avevo letto a proposito della sua compromissione con il partito nazista. La prima reazione è stata quella – istintiva- di ripulsa; poi ho pensato a quanti intellettuali si siano fatti irretire dai totalitarismi per ritrattare poi più o meno dolorosamente (oppure no, come nel caso di Heidegger). Di certo Gehlen non mi sembra tra i più compromessi; e comunque il suo sistema di pensiero, su cui (grazie a te) mi sono, per così dire, appena affacciata, mi sembra davvero da recuperare per i molti spunti che offre. Sarei felice se tornassimo a parlarne “da te” ;-).
      Quanto ad Eibl Eibesfeldt, spero sinceramente di approfondirne la conoscenza; non sarà facilissimo, visto che l’opera che tu citi, come pure i Fondamenti dell’ etologia edito poi da Adelphi, sono fuori catalogo. Etologia della guerra , assieme ad Amore e odio , sono ancora disponibili; immagino converrà approfittarne e presto, anche……..
      Un caro saluto e ancora grazie per i tuoi contributi preziosi e fecondi 🙂

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  8. Sai, Heidegger, nato nel 1889, negli anni in cui il nazismo si formava era un uomo, un filosofo. La sua generazione di pensatori aveva, per così dire, gli strumenti per ciò che sopraggiungeva. Imperdonabile, dunque.
    Il suo pensiero? Non so. Nonostante tutto, un grande, di cui non si può se non chiedersi come abbia potuto. Da lui hanno preso le mosse percorsi importanti della filosofia ma, nel contempo, il suo comportamento ha distrutto la grande filosofia tedesca.
    Gehlen, nato nel 1904, in quegli stessi anni, era un ragazzo, la cui infanzia era trascorsa in guerra. E che guerra. Impossibile per un adolescente-giovane uomo, non appartenere alle idee del proprio tempo, non patirle, salvo poi, come nel suo caso, non praticarle; anzi.
    Il suo pensiero platealmente non ha a che fare con razzismi di alcun genere, pur esercitandosi in un campo, l’antropologia filosofica, che di suo cammina su di un terreno franoso; che richiede un’attenzione esercitata e consapevole.
    Il tragico ‘900 (ma che dire della strada che stiamo ora percorrendo?) costringe ancora a far i conti con una generazione che si è formata in quegli anni e non ha potuto non infettarsi. Distinguere, poi, chi dall’infezione ha guadagnato anticorpi e immunità da chi è rimasto un portatore sano, magari inconsapevole, è arduo.
    Ciononostante, il ‘900 ha pensato; e noi siamo ancora i discepoli di quel pensiero.
    Molto difficile.
    (Stavo per scrivere “grazie a te” ma forse val la pena di chiudere i ringraziamenti. Mi sto godendo molto la chiacchierata. Non capta di frequente, e fa bene ;))

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    1. @Ivana Daccò
      Condivido assolutamente. L’espunzione, per almeno un trentennio, di tutta un’area di autori e filosofi più o meno compromessi con i regimi nazifascisti, o comunque considerati genericamente “di destra”, ha semplicemente rimosso il problema senza che questo venisse compreso adeguatamente nella sua complessità. I risultati sono stati e sono fin troppo evidenti:certe risposte continuano ad essere considerate dalla maggioranza le uniche possibili nei momenti di crisi. E qui è inevitabile il rimando al Fascismo eterno di Eco, di cui proprio tu parlavi sul tuo blog pochissimo tempo fa , e dal quale, per ritornare al tema principale di questa nostra lunga chiacchierata, riporto questa citazione incredibilmente consonante :

      Per l’Ur-fascismo [il fascismo eterno,l’archetipo ideale sotteso a tutte le manifestazioni storiche dei totalitarismi di destra ma non solo, ndr] non c’è lotta per la vita, ma piuttosto “vita per la lotta”. Il pacifismo è allora collusione col nemico, il pacifismo è cattivo perché la vita è una guerra permanente. Questo tuttavia porta con sé un complesso di Armageddon: dal momento che i nemici debbono e possono essere sconfitti, ci dovrà essere una battaglia finale, a seguito della quale il movimento avrà il controllo del mondo. Una simile soluzione finale implica una successiva era di pace, un’età dell’oro che contraddice il principio della guerra permanente. Nessun leader fascista è mai riuscito a risolvere questa contraddizione.

      Certo Hillman avrebbe sottoscritto, e come noi,forse,sorriso (molto amaramente) del paradosso.

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  9. Grazie per il post.
    Non ho molto da dire. Non ho (ancora) letto il libro di Hillman e non ho visto (e credo che non vedrò) GoT.
    Mi bastano la Bibbia (guarda un po’ inizia con un fratricidio, tanto per dire la religione) e l’Iliade.
    Un cupio dissolvi collettivo, perché la guerra potrebbe essere desiderio di vivere pienamente. Per qualcuno potrebbe essere un modo di allontanare la noia.
    Scusate le mie banalità.

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    1. @Rosella
      Benvenuta innanzitutto :-).
      La Bibbia e l’Iliade, certo. I due miti fondanti dell’Occidente, non a caso, sono due grandi storie di guerra (e lo stesso Hillman le cita a più riprese). Anche la fondazione di Roma, mi hai ricordato, comincia con un fratricidio, il che ci rimanda alla stagione terribile delle guerre civili dalla marcia sillana su Roma alla battaglia di Azio.
      Certo, il cupio dissolvi, freudianamente, ha un proprio fortissimo ruolo nelle dinamiche psicologiche di chi combatte. Di più, secondo Hillman, la guerra porta ad una sorta di «accomodamento con la morte», che diviene compagna silenziosa del soldato inviato in missione, che si abitua ad averla al proprio fianco e matura la certezza di esserne risparmiato, almento fisicamente. La morte lascia vivo il soldato, ma invade comunque la sua psiche, per cui, pur vigile e illeso, non rimane propriamente «vivo»:

      La psiche non è più la stessa di prima. “Sto bene, sono quello di sempre” scrive alla moglie un soldato britannico nel 1916. Poi si corregge: “Ma no, che dico … nessuno può fare certe esperienze e uscirne fuori uguale a prima” [Eksteins]. La violenza della guerra “non consiste tanto nel ferire e nell’annientare, quanto nell’interrompere la continuità delle persone … nel far loro mancare non solo a degli impegni, ma alla loro stessa sostanza … La guerra … distrugge l’identità dello Stesso” scrive Lévinas [Lévinas, 1979]. La psiche non può essere uguale a prima perché è diventata una compagna dell’anima dei morenti, compagna dei morti, “mezzo innamorata della morte lenitrice” (6). Normale è coincidere con la norma, diventare un morto tra i morti.

      Quanto alla guerra come modo di allontanare la noia, è profondamente vero anche questo; ma lo è soltanto per chi non ne conosce gli orrori. Ricorderai certo, all’inizio di Via col vento, l’entusiasmo dei fratelli Tarleton alla notizia della dichiarazione della Guerra di secessione(«Guerra; emozionante, vero?»), del tutto inconsapevoli del fatto che la guerra sta per cancellare per sempre il loro mondo e condurrà presto anch’essi alla morte. Ma la società della pace non ascolta i reduci, non dà loro spazio, non si serve del loro insegnamento, della loro guida preziosa che sola potrebbe frenare la corsa verso il precipizio, facendone dei disadattati cronici che, nei casi estremi, alla prima occasione, attraverso una strage di civili come quella di Oklahoma City del 1995, ricreeranno quella dimensione mitica della guerra a cui soltanto sentono di appartenere e dalla quale non sono mai usciti veramente.
      Un caro saluto- e nessun bisogno di scuse; ogni commento, purché ovviamente civile nei toni e nei contenuti, è qui sempre gradito e ben accetto, poiché contribuisce ad arricchire ed ad articolare il dibattito- ed è un segno d’attenzione non scontato, del quale essere grati 🙂
      .

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  10. Grazie. Intervengo raramente, ma seguo questo blog da tempo, come quello di Gabrilù, NonsoloProust. Per me sono due oasi nel deserto intellettuale dei nostri giorni. E sono fonti di stimolo e conoscenza.
    Scrivo e penso al recente massacro di El Paso e agli aggiornamenti sugli eventi di Corinaldo.
    Quanto a Via col Vento colpì anche me l’entusiasmo, non solo dei Tarleton, per lo scoppio del conflitto. Ricordo anche l’atto romantico del cinico protagonista maschile che parte per la guerra nel momento della disfatta. Ma soprattutto ricordo, a proposito degli orrori della guerra, la descrizione della distesa, immensa e dolente, dei feriti alla stazione di Atlanta.
    Chissà, forse, GoT potrebbe essere collocato nella categoria delle opere “popolari” ( con ogni rispetto da parte mia) che, come Via col Vento, sanno descrivere, raggiungendo una vasta platea, ragioni e sentimenti delle persone in modo diretto e non mediato da acrobazie intellettuali e contorti psicologismi.Però quando penso agli orrori della guerra mi viene subito in mente “E Johnny prese il fucile” di Dalton Trumbo.
    Riconosco che è un mio limite non seguire le serie televisive (una mia conoscente ha minacciato di troncare l’amicizia se non provvedevo a vedere almeno la prima serie di Downtown Abbey).E dire che il mio mito Paolo Poli si era letto tutta Carolina Invernizio e nei suoi spettacoli riusciva a esaltarne la profonda conoscenza dell’animo umano!
    Grazie ancora di tutto
    Leggerò quanto prima Hillman.

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    1. @Rosella
      Perdona il ritardo della risposta. Anch’io sono rimasta colpita dalla strage di El Paso, non propriamente un atto di guerra, anche se gli stati Uniti hanno classificato l’accaduto come terrorismo interno, ma certamente figlio di quella retorica dell’odio che della guerra costituisce il prodromo inevitabile.
      Quanto alle opere popolari, nel senso migliore del termine che tu hai già illustrato con chiarezza certamente GoT rientra nel novero; invia un messaggio potente ricorrendo al giusto linguaggio, e ha il potere di “rimanere dentro” e dunque di mettere in moto un lavorio della mente, più o meno sotterraneo alla soglia della coscienza, ma che pure fa sentire – auspicabilmente inevitabili- i suoi effetti.
      Quanto al non seguire le serie TV, credo sia comunque una scelta legittima, anche se è indubbiamente vero che alcune di esse sono eccellenti e che in media superino ormai la qualità della produzione cinematografica; insomma, volendo chiudere con un sorriso, non seguirle è un peccato ma non è un reato 🙂 .
      Un caro saluto e a rileggerti presto

      Ps Se e quando leggerai Hillman, sarei felice se ritornassi qui a parlarcene 🙂

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  11. Anch’ io non ho molto da dire, carissima dragoval, a questo tuo post immenso nel tema che tratta (profondo, come sempre nei contenuti e nelle riflessioni) e al ricchissimo dibattito che ne è seguito. Taccio per incompetenza, per confusione intellettuale e per difficoltà a sciogliere nodi che lacerano la parte più profonda del nostro essere. Ma volevo salutarti e quindi ti lascio qualche storta sillaba.
    Ho letto diverse volte il tuo post, per intero, non curandomi delle “ rivelazioni”perchè non credo che vedrò “Il Trono di Spade”, almeno per ora. Il nodo antitetico che si pone è da una parte la posizione di Hillman, in un testo che mi pare chiarissimo, e di Hobbes e dall’ altra una visione antropologica di autori citati da te e Ivana e dagli studi di Cavalli Sforza e di altri che hanno identificato nella collaborazione il motore della evoluzione umana. Quando gli uomini hanno collaborato la storia biologica e politica è andata avanti.
    Questa semplificazione , quasi da tweet, presume di basarsi sulla razionalità, mentre
    Hillman agita le acque oscure del nostro subconscio. Per caso, recentemente mi è stato indicato il libro di Miguel Benasayag, Elogio del conflitto, Feltrinelli, 2016. Prova evidente che il tema che tu sollevi è di bruciante attualità. Che dire, ora che abbiamo smesso di credere e di sperare? Come spesso, ci soccorrono i grandi Russi : Vasilij Grossman, nel pezzo meraviglioso che hai fatto bene a riportare e che andrebbe riletto a scadenze fisse e il tuo/nostro Dostoeskij, in un racconto, Il sogno di un uomo ridicolo. Sono sicura che tu conosci questo testo originale, che turba e solleva nel contempo, e ricordi il sogno di quell’ uomo che vede un mondo diverso e quando si sveglia- dopo avere desiderato di uccidersi- dice : Oh, adesso vivere,vivere. Sì, vita e predicazione! Per tutta la vita! Io vado a predicare, io voglio predicare; che cosa? La verità, giacchè l’ ho veduta, l’ ho veduta coi miei occhi, ne ho veduta tutta la gloria! Gli uomini possono essere bellissimi e felici, senza perdere la capacità di vivere sulla terra. Io non voglio e non posso credere che il male sia lo stato normale degli uomini ( http://www.antoniosterpi.it). Un abbraccio, cara dragoval.

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    1. Renza carissima,
      grazie come sempre per i tuoi contributi preziosi e profondi. Non conoscevo l’opera di Miguel Benasayag, e, a dirla tutta neppure l’autore; approfondendo, mi è sembrato di cogliere una certa consonanza con il saggio di Hillman, anche perché lo stesso Benasayag è a sua volta uno psicanalista, anche se l’autore argentino prende poi, mi sembra, direzioni diverse, ragionando anche sul concetto di «guerra giusta», che Hillman invece, come abbiamo visto, esclude totalmente dal proprio orizzonte.
      Quanto all’opera di Cavalli Sforza, resta una pietra miliare del pensiero del Novecento, non sempre, mi sembra, ripresa e ricordata come meriterebbe (tanto da essere finita infatti in buona parte fuori catalogo); certo questa visione resta antitetica a quella della guerra come sola fonte di progresso e addirittura «igiene del mondo», come volevano quegli sconsiderati dei futuristi; una sorta di rimedio sovrano alla sovrappopolazione e alla scarsità di risorse. Anch’io preferisco pensare alla collaborazione come motore del progresso, data la natura essenzialmente sociale (oggi quasi solo social) della specie umana; mi piace pensare che incontro, empatia, condivisione di idee e di esperienze siano il reale motore della civiltà.
      Ma la nostra natura di animali sociali non cancella, purtroppo, quella di ferocissimi predatori, resi oggi più innocui solo perché assai sazi e annoiati, almeno in Occidente; per questo, nonostante il mio amore immenso per Dostoevskij e per quel testo appassionato, quasi tolstojano, che tu citi, io resto con Hillman e Hobbes ( amicus Plato, sed magis amica Veritas ), pur rimpiangendo quel sogno con la nostalgia struggente dei cacciati dal Paradiso.
      Un abbraccio e ancora grazie

      Ps Sarei stata felice di assistere allo spettacolo con Antonio Serpi; credo sia stata una interpretazione intensa e una gran bella pagina di teatro, come tante di più ce ne vorrebbero.

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      1. Cara Dragoval, ho utilizzato il sito di Serpi per il testo di Dostoevskij, ma non ho assistito al suo spettacolo. Ho visto invece PRO E CONTRA DOSTOEVSKIJ, che su quel racconto e sui I fratelli Karamazov si basa. Suggestivo e forte, anche perchè recitato- in una sorta di performance itinerante- nel Cimitero germanico della Futa , luogo sublime nel rappresentare la bellezza e la pace della Natura e l’ orrore e il dolore della guerra. https://www.archiviozeta.eu/teatro/pro-contra-dostoevskij/. Un abbraccio.

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    1. @wwayne
      Hai ragione, wwayne, sono ancora ridotta, come dicevo altrove, a parere fioca per lungo silenzio , ; purtroppo altre questioni richiedono la mia attenzione, ormai da quasi un anno a questa parte, per cui di tempo ed energie per la scrittura- e per le idee che la alimentano- me ne restano davvero pochi.
      Temo quindi che il blog resterà in stato dormiente ancora per un po’, anche se spero non troppo a lungo.
      Un saluto e grazie per l’interessamento e per essere ripassato di qui 🙂 .

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