Indovina chi viene a cena. Mozart/ Da Ponte e Charles Dickens

«Don Giovaaaanni/, a cenar teco/ m’invitaaaasti/ e son venuto»:  scommetto che neanche avete fatto in tempo a leggere il titolo del post che già la voce del Convitato di pietra risuona potente al vostro orecchio; tuttavia, il  seduttore impenitente non è l’unico ad aver ricevuto una visita inattesa, che (invano) gli offrirà l’occasione di pentirsi dei suoi peccati e di cambiare vita; anche un altro famoso personaggio vedrà comparire alla sua porta uno spettro che gli offrirà una speranza di redenzione, con un epilogo, fortunatamente per lui, del tutto diverso dalla sorte toccata al dissoluto punito.

Il rimando alla trama del Don Giovanni è qui giustificato soltanto per evitarvi la fatica di andare eventualmente a richiamarne i dettagli. Come sapete tutti, Don Giovanni è il perfido libertino  nato dalla penna di frate Gabriele Téllez, più noto come Tirso de Molina che si ride della morale corrente e non esita nelle sue imprese amorose neppure di fronte all’omicidio. Il burlador de Sivilla seduce, tuttavia, non soltanto le mille e più donne del suo catalogo , ma anche la fantasia di Molière  e, appunto, di Lorenzo Da Ponte, il librettista dell’opera di Mozart.  Il primo atto dell’opera si apre, invlcsnap-2017-04-15-14h54m05s890fatti, con Don Giovanni che tenta di sfuggire , dopo aver invano tentato di sedurla entrando mascherato dal balcone della sua camera, ad una concitatissima Donna Anna (Non sperar, se non m’uccidi, /ch’io ti lasci fuggir mai)  celandole la propria identità (Donna folle! Indarno gridi: /chi son io tu non saprai). Interviene a questo punto sulla scena il Commendatore, padre di Donna Anna, che esige soddisfazione dal libertino invitandolo a battersi a duello; Don Giovanni, vista l’età avanzata del rivale, dapprima rifiuta (Va’: non mi degno/ di pugnar teco), ma poi accetta la sfida ferendo mortalmente l’avversario (Ah! già cadde il sciagurato… Affannosa e agonizzante, /già dal seno palpitante / veggo l’anima partir). Donna Anna, che accorre sulla scena assieme al suo fidanzato, il pavido Don Ottavio, alla vista delvlcsnap-2017-04-15-14h55m07s190 cadavere si sente mancare, e s fa giurare dal fidanzato di vendicare la minaccia al suo onore e la morte di suo padre. Ma la vendetta contro il dissoluto seguirà  tutt’altro corso. Nella scena dodicesima del II atto, infatti, vediamo Don Giovanni e Leporello rifugiatisi in un cimitero, inseguiti dai contadini inferociti contro il nobile per aver questi tentato di sedurre più volte la giovane Zerlina il giorno stesso delle nozze con Masetto e per aver quindi picchiato quasi a morte quest’ultimo (costringendo anche il servo, in un infernale scambio di persona, a subire le attenzioni amorose di  Donna Elvira, una “ex” particolarmente pervicace che si è posta all’inseguimento del seduttore, con il preciso intento di redimerlo riconquistandone l’affetto); passeggiando tra i monumenti funebri, Don Giovanni racconta ridendo a Leporello le avventure e le disavventure della giornata, quando all’improvviso una voce dalla provenienza ignota all’improvviso squarcia il silenzio con un terribile monito(Di rider finirai pria dell’aurora). Leporello riconosce immediatamente la voce come proveniente da un altrove ultraterreno, mentre Don Giovanni mette mano alla spada. La voce lo ingiuria esortandolo a rispettare la sacralità del luogo (Ribaldo audace!/ Lascia ai morti la pace); Don Giovanni, avendo Leporello riconosciuta la tomba del Commendatore, la cui epigrafe recita vlcsnap-2017-04-15-14h39m35s942«Dell’empio che mi trasse al passo estremo qui attendo la vendetta», scoppia a ridere chiamandolo «vecchio buffonissimo», esortando il servitore ad invitarlo a cena per la sera seguente; a Leporello balbettante e terrorizzato la statua fa un cenno d’assenso con la testa   (Colla marmorea testa ei fa così… così…), ma solo a Don Giovanni, che gli ripeterà esplicitamente l’invito (Parlate! Se potete, verrete a cena?) , risponderà «Sì»; e Don Giovanni, senza minimamente scomporsi o turbarsi, esorterà ironicamente Leporello a ritornare a casa per preparare degnamente la tavola all’illustre convitato  ( Verrà il buon vecchio a cena./  A prepararla andiamo,/  partiamo via di qua) .

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La scena quindicesima ci fa ritrovare appunto nel palazzo di Don Giovanni, pronto a godersi una sontuosa cena allietata dalla musica dei suonatori (Già la mensa è preparata./ Voi suonate, amici cari: / giacché spendo i miei danari, /io mi voglio divertir); la serata, tuttavia, riuscirà ben movimentata, interrotta da due visitatori inattesi: Donna Elvira, che compie un tentativo estremo di redimere Don Giovanni (L’ultima prova/ dell’amor mio/ ancor vogl’io/ fare con te./ Più non rammento/ gl’inganni tuoi: pietade io senvlcsnap-2017-04-15-18h51m54s458to…), a cui Don Giovanni risponde dapprima con irridente sarcasmo (Che vuoi, mio bene? / DONN’ELVIRA Che vita cangi. /DON GIOVANNI Brava! DONN’ELVIRA Cor perfido! / DON GIOVANNI Lascia ch’io mangi./ E, se ti piace, / mangia con me),  quindi proclamando il trionfo dei piaceri della vita (Vivan le femmine! / Viva il buon vino!/  Sostegno e gloria d’umanità!). Donna Elvira, ferita e umiliata, fugge inorridita da tanta insensibilità, ma allontanandosi getta un terribile grido; Don Giovanni esorta Leporello a vedere chi sia alla porta, ma il servo ritorna  pallido e stravolto, vaneggiando di un uomo di pietra dal terribile aspetto (Ah!… signor… per carità…/non andate fuor… di qua… / L’uom… di… sasso… l’vlcsnap-2017-04-15-14h40m36s092uomo… bianco…/ Ah, padrone! Io gelo… io… manco… se vedeste… che… figura… se… sentiste… come… fa).  Don Giovanni, impaziente ed irritato, va egli stesso ad aprire, per trovarsi di fronte la statua del Commendatore, che gli annuncia di aver accettato il suo invito a cena (Don Giovanni, a cenar teco/ M’invitasti e son venuto!). Ma anche di fronte alla spaventosa figura, il libertino non perde il suo contegno (Non l’avrei giammai creduto;/Ma farò quel che potrò),intimando al servo  terrorizzato di aggiungere un posto a tavola (Leporello, un’ altra cena /fa che subito si porti!); ma il Commendatore, anche dopo l’insistenza di Don Giovanni rivolto a Leporello nascosto dietro il tavolo paralizzato dal terrore (Ah, padron!… Siam tutti morti! DON GIOVANNI Vanne, dicovlcsnap-2017-04-15-14h41m14s423 )  lo blocca (Ferma un po’!), ribadendo che le anime dei morti disdegnano il cibo, e che lui è tornato tra i vivi per una questione molto più importante (Non si pasce di cibo mortale/ chi si pasce di cibo celeste./ Altre cure più gravi di queste, /altra brama quaggiù mi guidò!).
Don Giovanni non sa ancora, infatti, di aver consumato la sua ultima cena, ed esorta, spazientito, lo spettro a venire al punto (Parla, dunque: che chiedi? Che vuoi?) il Commendatore, dopo avergli intimato di ascoltarlo con attenzione (Ora ascolta, più tempo non ho) gli ricorda infatti i  doveri della cortesia, che gli impongono di accettare a sua volta l’invito del suo ospite (Tu m’invitasti a cena: /il tuo dover or sai. /Rispondimi: verrai/  tu a cenar meco?). Don Giovanni rifiuta sdegnosamente i deboli pretesti avanzati da  Leporello per sottrarlo alla terribile prova (Oibò! Tempo non ha… scusate), per affermare orgogliosamente che nessuno potrà mai accusarlo di essere un vigliacco (A torto di viltate / tacciato mai sarò!) e di essere abbastanza coraggioso da accettare l’invito (Ho fermo il core in petto,/ non ho timor: verrò). Ma ecco che a questo punto gli eventi precipitano: la stvlcsnap-2017-04-15-22h54m12s368atua gli chiede «la mano in pegno», gesto che si rivelerà un crudele inganno: appena Don Giovanni afferra la mano della statua viene pervaso da un gelo mortale (Ohimé!….Che gelo è questo mai?). La sua ora è giunta: il Commendatore ha avuto la sua vendetta, ma pure vuole dargli occasione di pentirsi, sia pure nel momento estremo (Pentiti, cangia vita:/ È l’ultimo momento!) , ma il seduttore rifiuta recisamente, nonostante le ripetute insistenze della statua (No, no, ch’io non mi pento: / vanne lontan da me!),fino a che il Commendatore, un attimo prima di sparire,  non emette la terribile sentenza: ogni tempo per la redenzione è scaduto («Ah, tempo più non v’è»);Don Giovanni dunque è spacciato e la sua anima covlcsnap-2017-04-15-14h45m30s234ndannata alle pene dell’inferno. Il suo sguardo pieno d’orrore non può che assistere impotente all’ascesa degli spiriti infernali, venuti a prenderlo per straziarlo per l’eternità: (Da qual tremore insolito…/ sento… assalir… gli spiriti… / Donde escono quei vortici/ di fuoco pien d’orror?…);questi ultimi gli ricordano che non esiste pena sufficiente per le colpe di cui Don Giovanni si è macchiato (Tutto a tue colpe è poco! Vieni, c’è un mal peggior!), e lo trascinano nell’abisso mentre egli urla il suo tormento (Chi l’anima mi lacera!… Chi m’agita le viscere!… Che strazio! ohimè! che smania! Che inferno!… che terror!…). Il dissoluto, come voleva il sottotitolo dell’opera, è stato finalmente punito.


«Marley era morto: tanto per cominciare. Al riguardo non c’era il benché minimo dubbio.Il verbale della sua sepoltura era stato firmato dal parroco, dal chierico, dal beccamorto e dal capo delle pompe funebri». Inizia Scrooge&MArleycosì, in maniera tutt’altro che rassicurante, la Prima Strofe del Canto di Natale (A Christmas Carol)  di Charles Dickens, intitolata appunto Lo spettro di Marley (Marley’s Ghost). Del resto, poco più avanti, il narratore  stesso si scusa di tanta insistenza sulla realtà indubitabile della morte di Marley, perché, altrimenti, nulla di meraviglioso potrebbe emergere dalla storia che egli sta per raccontarci; e per convincerne ancora meglio il lettore,continua alludendo esplicitamente ad uno degli evidenti modelli del suo racconto :«Se non fossimo perfettamente convinti che il padre di Amleto sia effettivamente morto prima che la tragedia abbia inizio, non ci sarebbe nulla di più straordinario nel suo passeggiare di notte,  sugli spalti del castello spazzati dal vento orientale,  di quanto si potrebbe trovare nella passeggiata di un uomo di mezza età che sbucasse all’improvviso fuori dal buio, nella brezza notturna- diciamo ad esempio dal cimitero di San Paolo- per sconvolgere la debole mente del suo figliolo». Il narratore (o l’autore, se preferite) ha dunque qui preannunciato il contenuto della sua storia (intuibile, peraltro, già dal titolo della prima strofe): si tratta di un racconto di fantasmi, e segnatamente, dato il riferimento ad Amleto, di uno spettro che tornerà nel mondo dei vivi per uno specifico redde rationem. Marley, infatti, scopriremo subito dopo, era il socio in affari del protagonista della nostra storia, Ebenezer Scrooge, che a sua volta viene definito come « il suo solo esecutore testamentario, il suo unico amministratore, il suo solo legatario ed il suo unico amico». Dopo la morte di Marley, Scrooge nemmeno si dà pena di cancellarne il nome dall’insegna, continuando peraltro indifferentemente a rispondere agli interlocutori con il nome di Marley o con il proprio. Bontà d’animo e rimpianto inconsolabile, si potrebbe pensare; in realtà, l’autore non perde tempo a disilluderci, facendo di Scrooge un altro tipo di grande peccatore, come Don Giovanni, ma questa volta esemplato sull’immortale archetipo dell’Euclione dell’ Aulularia o dellArpagone di Moliére:

«Oh, ma era un uomo dai pugni ben stretti e dal cuore di pietra, il nostro Scrooge! Un avido, vecchio peccatore capace di spremere, torcere, raschiare, graffiare, stritolare. Duro e tagliente come una pietra focaia, da cui nessun acciaio aveva mai potuto sprigionare una scintilla di generosità;  chiuso, sigillato e solitario come un’ostrica. Il  freddo dentro di lui gli  rendeva geliscroogedi i lineamenti, gli arrossava la punta del naso, gli irrigidiva il passo; gli arrossava gli occhi, illividiva le labbra sottili e veniva fuori sgradevolmente nella sua voce gracchiante. Un velo di brina era sulla sua testa, sulle sopracciglia, sulla sua barba di fil di ferro. Si portava dietro ovunque la sua temperatura polare; gelava il suo ufficio nei giorni della canicola, senza riscaldarlo di un grado a Natale.

E proprio nella notte di Natale, sette anni dopo i tristi avvenimenti richiamati nell’ orrido cominciamento del romanzo , facendo ritorno a casa dopo la solita- e solitaria- cena nella solita trattoria triste e malinconica, Scrooge riceverà la più inaspettata delle visite, il cui biglietto da visita, per così dire, gli si mostra già quando  egli sta per imboccare la porta del proprio palazzo:

Ora, certo è che il batacchio della porta, oltre ad essere massiccio, non aveva in sé niente di speciale. È anche certo che Scrooge, , l’aveva visto mattina e sera, da quando abitava in quel palazzo; e lo stesso Scrooge, inoltre, aveva tanto poca fantasia quanto qualsiasi altra persona della City , compresi- il che è un’audacia, lo so- , la corporazione, il consiglio
municipale e i cocchieri in livrea. Ficcatevi bene in mente  che Scrooge non aveva elargito un solo pensiero  a Marley, dopo averne menzionato la morte, avvenuta sette anni prima, quello stesso pomeriggio. E adesso lasciate che qualcuno mi spieghi, se ne è in grado, come potesse accadere che Scrooge, dopo avere infilato la chiave nella toppa, vedesse nel batacchio, senza che avvenisse alcun processo di graduale trasformazione, il volto di Marley. 

Il volto di Marley; non era nell’ombra impenetrabile come tutti gli altri oggetti lì nel cortile, ma emanava una luce livida, come un crostaceo andato a male in qualche cantina buia. Non era arrabbiato o feroce; fissava Scrooge come Marley era solito fissarlo, con occhiali Th knocker2spettrali alzati sulla fronte spettrale. I capelli gli si agitavano curiosamente, come  mossi da un soffio o da un’aria calda; e gli occhi, benché fossero spalancati, erano perfettamente immobili. Tutto questo, oltre al suo colore livido, lo rendeva orribile; ma questo orrore sembrava emanare malgrado quel volto e aldilà del suo controllo, piuttosto che essere parte della sua espressione. Come Scrooge si soffermò a guardare fissamente il fenomeno, ecco che ritornò il picchiotto di sempre.

A quella vista, Scrooge è profondamente scosso, investito dalla sensazione di un rimescolamento del sangue a lui ormai estranea dai tempi dell’infanzia. Pure, essendo, come si è detto, un uomo duro e niente affatto incline alla superstizione, tira dritto, entra in casa (ha una lieve esitazione nel chiudere la porta, come se si aspettasse di rivedere lo spettro di Marley tornare a terrorizzarlo), percorre l’immensa scalinata del palazzo, tanto larga, ritiene di informarci l’autore,  da far sì che un carro funebre ci passasse comodamente in orizzontale, e arriva finalmente nel suo appartamento, dove, dopo aver controllato che tutto fosse al suo posto e non vi fosse nessuno  sotto il tavolo, sotto il divano, sotto il letto o nell’armadio, Scrooge si chiude dentro a doppia mandata e si mette in vestaglia a gustarsi, davanti al misero fuocherello del camino, un decotto per il raffreddore. Ma è destino che le sorprese non debbano esaurirsi con quella prima apparizione. Dopo essere stato terrorizzato da un campanello ormai in disuso, messosi scrooge2.jpgimprovvisamente a suonare e a trillare così forte da farlo impazzire, Scrooge viene terrorizzato da un clangore proveniente dal fondo delle scale, «come se qualcuno stesse trascinando una pesante catena», che si avvicina diventando sempre più forte fermandosi proprio fuori alla sua porta.Il vecchio, per dominarsi, si ripete il suo solito « Sciocchezze!», formula con cui usa liquidare tutti i comportamenti e gli eventi non strettamente riconducibili ad una logica razionale, e davanti all’intensificarsi del rumore delle catene, anche avendo sentito dire che quello fosse il segnale tipico delle case infestate, ribadisce recisamente:  «Non voglio crederci!». Ma pure impallidisce davanti all’apparizione improvvisa dello spettro, che attraversa la porta parandoglisi immobile davanti.

 Cambiò colore, tuttavia, quando lo spettro, senza dargli tregua, attraversò la pesante porta  e passò nella camera, davanti ai suoi occhi. In quell’istante la fiamma, ormai prossima a spegnersi, guizzò  come se esclamasse :”Lo conosco! È lo spettro di Marley!” e quindi di nuovo ricadde.vlcsnap-2017-04-16-00h49m35s214 La stessa faccia: proprio la stessa. Marley col suo codino, col solito panciotto, i calzoni attillati e gli stivali, le nappine di questi ultimi si agitavano come il codino, le falde della giacca e i capelli sulla sua testa  . La catena che trascinava gli era annodata alla vita. Era lunga, e gli si avvolgeva intorno come una coda; ed era fatta, come Scrooge osservò con attenzioni, di scrigni, chiavi, lucchetti, libri mastri, atti notarili  e pesanti borse di acciaio battuto . Il suo corpo era trasparente, così che  Scrooge, osservandolo e guardandolo attraverso il panciotto, vedeva i due bottoni posteriori della giacca. Scrooge aveva sentito dire che Marley fosse un uomo che non avesse viscere, ma non ci aveva mai creduto sino a quel momento.

In un primo momento, Scrooge  ancora si ostina a negare l’evidenza, sforzandosi, come già Don Giovanni, di mantenere un contegno, nascondendo il proprio turbamento dietro il solito feroce scetticismo: «– Ebbene, dunque! -chiese  Scrooge, caustico e glaciale  come sempre. – Che cosa volete da me?»
Molto!Era la voce di Marley, senza dubbio.
– Chi siete ?
– Chiedimi chi fui.
-Chi foste, dunque? – disse Scrooge alzando la voce. – Siete un piuttosto puntiglioso, mi pare, per essere un’ombra. Stava per dire “rispetto ad un’ombra”, ma poi preferì scegliere la prima espressione, come la più appropriata.
– In vita, fui il tuo socio, Giacobbe Marley.
– Potete.. potete sedervi? – domandò Scrooge guardandolo dubbiosamente.
– Posso.
– Sedetevi, dunque. –

Scrooge , mostrandosi  disinvolto, invita lo spirito a sedersi, pensando che ovviamente uno spettro non possa avere la forza di spostare una sedia o che, qualora ne fosse stato in grado, avrebbe dovuto inventarsi una spiegazione convincente. Ma lo spirito gli si siede di fronte, dall’altro lato del camino, come se ci fosse abituato.

– Tu non credi in me – disse poi.
– No – rispose Scrooge.
– Che altra prova vorresti del fatto che sono reale,  oltre a quella dei tuoi sensi?
– Non saprei.
– Perché dubiti dei tuoi sensi?
– Perché la minima cosa li altera. Il più piccolo disordine li rende inaffidabili. Voi potreste essere un pezzetto di carne mal digerito, uno schizzo di mocstarda, una briciola di formaggio, un frammento di patata mal cotta. Chiunque voi siate, c’è in voi più della salsa che della tomba [gioco di parole intraducibile tra gravy e grave, Ndr]

Scrooge non  è certo tipo da giochi di parole, né tanto meno si sente di fare dello spirito; in realtà,cerca di mostrarsi  brillante per distrarsi e tenere a bada il terrore, poiché la voce dello spettro lo terrorizza  fino al midollo Peraltro, egli si rende conto che rimanere lì, sotto lo sguardo infernale dello spirito, equivarrebbe ad avere senz’altro la peggio; e dunque, ostinato e sarcastico nella propria incredulità , si sforza di rimanere padrone della situazione, mostrando allo speJacob marleyttro uno stuzzicadenti (che egli vede senza guardarlo), e sentenziando che ingoiarlo sarebbe  sufficiente ad essere perseguitato dagli spiriti per il resto della vita, («Sciocchezze, vi dico! Sciocchezze!») .Ma a questo punto, lo spirito emette un urlo così terribile che Scrooge deve reggersi alla sedia per non cadere a terra svenuto;e soltanto quando lo spirito si toglie la fascia che gli regge la mandibola  lasciando che questa gli ricada sul mento, Scrooge finalmente cede cadendo in ginocchio ed implorando pietà.

«Orribile apparizione, perché mi perseguiti?»- Uomo dalla mente mortale – rispose lo Spettro, – credi in me  oppure no?
Credo -rispose Scrooge, – devo credere. Ma perché mai gli spettri percorrono la terra e vengono da me?
– È  richiesto ad ogni uomo- rispose lo spettro – che il suo animo si spinga  verso i suoi simili che viaggi in lungo e in largo; se non lo fa in vita, è costretto a farlo dopo la morte. È dannato ad errare per il mondo- oh,povero  me !- ad assistere impotente a ciò che non può più condividere, ma avrebbe potuto mentre era in vita, mutandolo in felicità!

La disperazione dello spettro rivela dunque, implicitamente, il motivo della sua visita: offrire a Scrooge un’alternativa rispetto al proprio, terribile destino di dannazione, che altrimenti egli dovrà condividere. Quando infatti Scrooge, tremante, gli chiede come mai sia incatenato, egli risponde di essersi forgiato quella catena in vita, in modo volontario e conseziente, tutto dedito all’accumulo e al profitto senza mai preoccuparsi del prossimo, e ammonisce Scrooge che egli stesso se ne sta forgiando una ben più lunga e pesante, seppure a lui ancora invisibile; e all’uomo ormai atterrito e tremante, che gli chiede di parlargli ancora, chiedendogli almeno una parola di conforto, egli risponde implacabile che non può dargliene, e che non gli è concesso fermarsi ancora a lungo, costretto com’è a vagare senza posa, «sulle ali del vento», dal giorno della sua morte, rammaricandosi e soffrendo per il bene che non può più fare:

– Non ho alcuna consolazione da offrirti – rispose lo Spettro. – Essa viene da altre regioni, ed è portata da altri messaggeria ben altro tipo di uomini. Né ti posso dire tutto quel vlcsnap-2017-04-16-00h46m49s316che vorrei: davvero poco è il tempo che mi resta. Non posso fermarmi, non posso restare né indugiare in alcun luogo.

Scrooge,caduto in ginocchio e atterrito dal racconto di Marley, inizia a tremare come una foglia; lo spirito, allora, gli ordina solennemente di ascoltarlo, perché si avvicina il momento del commiato («– Ascoltami! – comandò lo Spettro. – il mio tempo è quasi scaduto».), e gli rivela che l’unica strada per evitare il suo terribile destino è  per Scrooge quella di ricevere la visita di tre spiriti, che lo avrebbero visitato a mezzanotte, nelle tre notti successive. Scrooge, impallidendo ulteriormente, vorrebbe allontanare da sé quel calice, ma lo spettro, ricomponendosi ed avvicinandosi alla finestra, gli ribadisce che non c’è altra via, e gli mostra, per virtù soprannaturale,l’aria piena di spiriti dannati, leggeri nel vento come i lussuriosi danteschi , tormentati dalla sofferenza dei poveri e dal bene che non possono più compiere:

L’aria era piena di fantasmi, che erravano di qua e di là senza posa, tra i lamenti.  Ciascuno, come lo spettro di Marley, trascinava una catena; ce n’erano di quelli incatenati insieme, ed erano forse membri di governi malvagi; nessuno era libero.[…] Il supplizio di tutti loro era questo, voler prendere parte alle umane vicende per fare un po’ di bene e i averne perduto il potere per sempre.

Scrooge, dunque, al contrario di Don Giovanni, accetterà l’aiuto di Marley e grazie alla guida dei tre spiriti effettuerà quel lungo percorso di espiazione attraverso i Natali passati, presenti e futuri (che comprenderanno, questi ultimi, come vorrebbe Borges, la data esatta della sua morte) che si concluderà nella Quarta ed ultima strofe, in cui Scrooge, profondamente turbato e commosso, consapevole che le ombre mostrate potranno essere scongiurate se lui sarà capace di essere un uomo diverso, rivolgerà all’amicoScroogeknee un commosso pensiero di gratitudine:

Vivrò nel Passato, nel Presente e nel Futuro! – ripetè Scrooge, sgusciando fuori del letto. – I tre Spiriti mi ispireranno. O Jacob Marley! Benedetto sia il cielo e il giorno di Natale! Lo dico in ginocchio, mio vecchio amico; in ginocchio! –



RISORSE E NOTE A MARGINE

-Corsivi e grassetti nei testi sono miei;

-il testo integrale del libretto d’opera di  Lorenzo Da Ponte;

-Un‘analisi semiotica del Don Giovanni a firma di Maurizio Bambini in cui si indagano le ragioni del successo dell’opera riconducendole alla tensione dialettica tra la resistenza conservatrice dell’aristocrazia e la forza dirompente del nuovo ideale borghese, pragmatico e volto al godimento immediato dei sensi. Il fatto stesso che Don Giovanni sia un ruolo per basso, anziché, come avviene di solito, per tenore, indicherebbe il carattere buffo e l‘abbassamento, appunto, la degradazione morale del giovin signore, anticipatore inconsapevole di una jeunesse dorée il cui modello filtra attraverso i secoli fino alla contemporaneità, passando per Wilde, Pasolini ed altri (penso a Dorian Gray, ma anche, perché no, agli esponenti della casata dei   Guermantes);

-Il contributo di Alberto Pellegrino sulla metamorfosi della figura e del mito di Don Giovanni;

-L’analisi musicale dell‘ouverture dell’opera, che mostra quanto sia insolito per Mozart riproporre il tema centrale della scena del Commendatore e sottolinea come sia impossibile non riconoscerne temi e citazioni nel Requiem (K 626), anche questo scritto nella tonalità del Re minore, come l’opera;

-La  versione  della Scena del Commendatore qui sotto riportata è nell’allestimento di Franco Zeffirelli per il Metropolitan Theatre di New York, con Samuel Ramey nel ruolo del personaggio eponimo e Kurt Moll in quello del Commendatore- senza dimenticare l’ottimo Ferruccio Furlanetto nel ruolo di Leporello. Il New York Times, nella (forse ingenerosa?)  recensione dell’epoca, definiva Ramey come “il più attraente e atletico Don Giovanni  del panorama contemporaneo”, salvo poi accusare la sua recitazione, a tratti, di “piatta insensibilità”  in linea con il suo personaggio ( si badi che qui relata refero  e sospendo ogni giudizio, che demando agli esperti):

-La traduzione dei brani tratti da A Christmas Carol è mia; eccone il testo  in lingua e la traduzione di Federico Verdinois;

– L’evidente  similarità di  “A Christmas Carol” con la Commedia dantesca, è stata doviziosamente indagata  dall’autrice del blog Through a Glass Brightly che, sull’onda lunga dei saggi di  G.K.Chesterton, (l’inventore di Padre Brown) dedicati a Dickens e a A Christmas Carol  il quale sottolinea come Dickens abbia  scritto i suoi racconti natalizi (l’altro è Le campane)  mentre si trovava in Italia, e segnatamente a Firenze (!!), analizza mutatis mutandis, le evidenti affinità strutturali (i tre spiriti corrispondenti ai tre regni dell’oltretomba; lo spirito di Marley che intercede per la salvezza di Scrooge e il conseguente percorso di formazione e redenzione), cogliendo addirittura un’innegabile  corrispondenza fisio(g)nomica tra Scrooge e Dante:

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17 comments

  1. D’ accordo con Alessandra, è sempre bellissimo leggerti in questi tuoi accoppiamenti giudiziosi e insoliti , questi parallelismi che trovano analogie (inaspettate) e differenze. Un piacere dell’ intelligenza e della conoscenza. Un saluto affettuoso.

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    1. @Renza -e ancora @Alessandra
      Siete care come sempre; non vi nascondo che talvolta vengo presa dal dubbio – della qualità e della plausibilità- di questi miei accoppiamenti (grazie per l’allusione, Renza), chiedendomi se poi giudiziosi lo siano davvero-alcuni lo saranno meno ancora di altri, certamente. Il vostro affetto e il vostro sostegno, perciò, mi rincuorano e mi esortano a fare (del mio) meglio.
      Un abbraccio affettuoso ad entrambe, e ancora grazie 🙂

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  2. Dragoval, non credo che il tuo fine sia suscitare la meraviglia ma quello- correggimi se sbaglio- di aprire nuove interpretazioni, nuove analogie. Poichè il tutto avviene con generosità di sapere ( tuo) e con chiaro e bello stile , succede che generi grande piacere ( nostro) . Ricambio con piacere l’ abbraccio.

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  3. Due autori (Mozart e Dickens) che adoro ma guarda te che cosa buffa: proprio Il canto di Natale è l’unico libro di Dickens che, letto da ragazzina, non ho mai più preso in mano e, non avendo mai visto nemmeno i film, non mi ricordavo affatto che nel racconto ci fosse pure un fantasma (e che fantasma!).
    Molto bello, come sempre, l’accostamento tra i due convitati entrambi, di fatto, non desiderati. Entrambi in qualche modo — ed a loro modo — salvifici: il Commendatore (ma questa è una mia interpretazione) togliendo di mezzo finalmente Don Giovanni “salva” dalle sue malefatte i vivi che restano, Marley li salva tutti, a cominciare da Scrooge.
    E poi ci sono tutte le altre cose che così efficacemente ed acutamente noti tu.

    Quello che invece non mi convince per nulla, ti dico la verità, è l’analisi semiotica di Bambini che tu citi (a proposito, avrei voluto leggere il testo integrale ma il link non porta da nessuna parte, potresti aggiustarlo?).

    Che in alcune opere di Mozart ci si affanni a vedere soprattutto uno schema di critica socio.politica non è una novità, ma la trovo pertinentissima per Le nozze di Figaro, ispirata a Beaumarchais; molto meno — o per meglio dire, alquanto forzata — per il Don Giovanni.

    Non condivido affatto poi la questione che la voce di basso “indicherebbe il carattere buffo e l‘abbassamento, appunto, la degradazione morale del giovin signore”. Mi pare una solenne corbelleria, con tutto il rispetto per l’estensore dell’articolo (che, ripeto, mi piacerebbe poter leggere integralmente. Magari ho capito male io).

    Il basso non è, di per sé, sinonimo di comicità. Ci sono nel teatro lirico, personaggi con il ruolo di basso che sono comici, certo, ma ci sono anche personaggi con il ruolo di basso che sono straordinariamente drammatici (Boris Godunov, Filippo II del Don Carlos di Verdi, Maometto II di Rossini, Attila di Verdi (e chissà quanti me ne sto dimenticando), molti sono perfidi (come appunto Don Giovanni).

    Don Giovanni poi, in particolare, è indicato (e può essere interpretato) sia da un basso (Ramey, in questo caso o dal grande Cesare Siepi) come da un baritono (Ruggero Raimondi , uno dei migliori Don Giovanni — vedi il film di Losey).

    Altro che “giovinezza dorata”! Don Giovanni è personaggio lugubre, sulfureo, tragico. Don Giovanni non è Casanova. Casanova le donne le amava e, a modo suo, le rispettava. Don Giovanni no, è un predatore.

    Forse per questo una delle interpretazioni e degli allestimenti che io preferisco è quella di Losey-Raimondi (direttore Lorin Maazel con l’Orchestra dell’Opera di Parigi): lenta, livida, tetra.

    Detto questo, adoro Ramey non amour, ma nel caso del suo Don Giovanni (sempre di altissimo livello, per carità!) condivido il parere del New York Times: bella ma insipida 🙂

    E dopo questo sproloquio, prometto che che starò quieta per un bel pezzo. 🙂

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    1. @Gabrilu
      Se te ne stessi quieta, allora sì che mi faresti dispiacere, e molto- e non soltanto a me.
      Io, anzi, ti ringrazio vivamente per il contributo critico al dibattito, che è poi la finalità ultima di queste noterelle sparse ( rerum vulgarium fragmenta , scritto in minuscola). Detto e ribadito questo, provo a risponderti per punti:

      – la questione della critica sociale, nel Don Giovanni , è attestata anche dal tiepido successo che, a fronte del clamoroso successo ottenuto a Praga, l’opera ebbe a Vienna ;si ricorda al riguardo la battuta dell’imperatore Giuseppe II (il miope e retrogrado successore di Maria Teresa d’Austria), secondo cui l’opera non sarebbe stata “pane per i denti dei suoi viennesi”, proprio per la morte di un aristocratico fortemente inviso al popolo (Masetto e i contadini), che avrebbe potuto accendere qualche scintilla rivoluzionaria (l’opera andò in scena il 7 Maggio 1788, ed è ben noto cosa sarebbe accaduto a Parigi soltanto quattordici mesi dopo);

      – i ruoli drammatici affidati al basso che tu citi appartengono ad opere scritte nell’Ottocento, dunque in piena temperie romantica- e post-romantica; non sono un’esperta in materia, ma azzarderei che nei ruoli dell’opera si può ritrovare un’affinità con quanto accade per il romanzo realista e naturalista (i drammi del “popolo”, ovvero della piccola e media borghesia, o degli abitanti delle campagne, ascendono alle soglie del tragico, venendo dunque considerati materia narrativa seria e non più comica);

      -conosc(ev)o la versione di Losey, ma con tutto il rispetto per Ruggiero Raimondi, l’ho cordialmente detestata fin dalla prima inquadratura (per tacere poi di Kiri Te Kanawa, Donna Elvira oltremodo improbabile). Però, qui siamo, immagino, nel campo del gusto personale (io sono dispostissima ad ammettere anche di avere torto, eh, ma non posso farci nulla, proprio non mi piace);

      -Sulla natura “sulfurea” del personaggio, concordo pienamente; ma Don Giovanni è anche l’incarnazione dello Zeitgeist , almeno per ciò che riguarda la natura parassita e predatrice delle vecchie come delle nuove leve dell’aristocrazia- la stessa, insomma, stigmatizzata così efficacemente dal nostro Parini;

      -(ultimo non ultimo) ho provveduto ad aggiustare il link, che adesso effettivamente consente di scaricare il documento in PDF, come tempestivamente notava anche la nostra impagabile @Renza 🙂

      Ciao, e ancora- di cuore- grazie

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      1. Intervengo ancora solo per dimostrarti con quanta attenzione leggo le cose che scrivi e i testi che proponi.
        Ho scaricato e letto attentamente il testo di Maurizio Bambini, il contributo di Alberto Pellegrino e l’analisi musicale dell’ouverture dell’opera.

        Sui primi due:

        *** l’analisi semiotica proposta da Bambini: mah. Continua a rendermi molto perplessa. Ingabbiare materiali complessi come può essere il DG di Mozart dentro modelli prefabbricati non è cosa che mi convince. Lo dico in generale e non solo per questo articolo e questo oggetto di analisi. Con i modelli prefabbricati si può dimostrare tutto e il contrario di tutto. Non è metodo che fa per me, ma evidentemente il problema è mio.

        Piuttosto, credo di aver letto più che attentamente ma non sono riuscita a trovare da nessuna parte il riferimento al significato che avrebbe l’avere assegnato a DG il ruolo di basso (“buffo”, per usare la felice espressione di Renza :-).
        A proposito, nel frattempo mi è venuto in mente un altro “basso” mozartiano e settecentesco molto, ma molto poco “buffo”: il Sarastro del Die Zauberflöte (Il flauto magico)… 🙂

        *** Molto interessante invece (letto e conservato tutto) l’excursus di Alberto Pellegrino. Molto ben fatto e utile davvero. Non posso poi negare che ho provato anche un gran compiacimento quando, a proposito del film di Losey ho, ad un certo punto, ho trovato scritto:

        “Un vero capolavoro cinematografico deve essere considerato il Don Giovanni (1979) di Johseph Losey, che riporta fedelmente sul set l’opera di Wolfgang Amedeus Mozart, realizzando un’operazione culturale di alto livello attraverso il felice connubio di una delle massime espressioni dell’opera lirica con l’architettura cinquecentesca del Palladio, tenendo d’occhio sia il marchese De Sade che Bertold Brecht. Si tratta di un film-opera che rappresenta una eccezionale lettura poetica di un mito, poiché l’autore, attraverso magistrali invenzioni registiche e una splendida fotografia, ottiene una calibrata fusione tra realismo e teatralità al fine di esaltare la figura di un eroe freddo e pericoloso come l’acciaio. Di solito fare un film partendo dalla colonna sonora finisce per limitare le capacità creative del regista, costretto a “modulare” la scrittura filmica sullo sparito. Al contrario Losey riesce a rispettare la musica preesistente e nello stesso a ricrearla attraverso la ricerca di spazi sia architettonici (la Villa La Rotonda e il Teatro Olimpico del Palladio a Vicenza) che naturali (l’ambiente lacustre e la campagna veneta). Egli riesce a conciliare una prospettiva teatrale con quella cinematografica; fa confluire nel personaggio di Don Giovanni sia una tristezza di fondo (facendone un “grande perseguitato”), sia un ribelle anarcoide in continuo scontro con la sua classe sociale per difendere i suoi privilegi di libertà morale e sessuale attraverso la massima esaltazione dell’individualismo borghese.
        Nello stesso Losey colloca non a caso in apertura del film una frase di Gramsci: “Il vecchio muore e il nuovo non può nascere; e in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati” e sceglie di ambientare la vicenda in un periodo storico che precede la Rivoluzione francese. Egli non fa di Don Giovanni il protagonista della rivoluzione stessa, ma lo presenta come il veicolo di una rivolta personale al centro di una crisi di transizione che prepara la morte di un’epoca, diventando “l’interregno della sconfitta”. Il regista non sottovaluta il fatto che l’opera mozartiana sia stata composta due anni prima del fatidico 1789 ed afferma che “Don Giovanni è quasi una figura tragica: dico “quasi” perché Don Giovanni non riesce a esserlo del tutto, ad avere la grandezza di un eroe da tragedia, seppure negativo…Don Giovanni è un personaggio compassionevole, e invece impone a se stesso di apparire gaio, pieno di frenetico desiderio di vivere, di conquistare donne, di divertirsi; ma in realtà riesce a godere ben poco di tutto questo. Nell’intimo è un’anima perduta, ma nella vita un privilegiato…qualsiasi cosa abbia potuto pensarne Mozart, e a dispetto di tutto, Don Giovanni è una figura di ribelle, di anarchico rivoluzionario seppure ricco e pieno di privilegi”.
        In armonia con il personaggio mozartiano, Don Giovanni non è per Losey un libertino scettico che crede solo alla realtà dei sensi; al contrario egli rappresenta l’orgogliosa negazione del pentimento di un uomo che rimane fedele agli ideali dell’Illuminismo, che rifiuta ogni costrizione della volontà per affermare la libera scelta del proprio destino. In questa scelta risiede gran parte dell’oscuro fascino che emana la sua figura, poiché al termine di una vita travagliata si risveglia in Don Giovanni una coscienza tragica che lo rende consapevole di una gigantesca sfida accettata virilmente e con nobiltà d’animo.”

        “un’eroe freddo e pericoloso come l’acciaio”, dice 🙂

        Ovviamente non è obbligatorio che il DG di Losey-Raimondi debba piacere a tutti quanto piace a me, ma un merito penso possa essergli riconosciuto: il coraggio di avere fornito una vera “interpretazione” (per la serie “prendere o lasciare”) del personaggio e del contesto. Da questo, dall’aver fatto scelte precise, dipende molto il fatto che poi piace o non piace, credo, più che da una questione di mera “questione di gusti”.

        Curioso non abbia apprezzato Kiri Te Kanawa, considerata una delle migliori Donna Elvira (oltre che meravigliosa Contessa ne “Le nozze di Figaro”)… ma ok, questione di gusti

        *** Samuel Ramey che, ripeto, è uno dei miei bassi preferiti: probabilmente lo conosci, ma in caso contrario, come suo Don Giovanni mi permetto di consigliarti di dare un’occhiata (ed una “ascoltata” 🙂 all’allestimento del 1987 a Salisburgo (Wiener Philarmoniker, direttore Herbert Von Karajan ed un cast, come si suol dire “stellare”). Su YouTube se ne trovano parecchi stralci. Io la trovo un’edizione di molto superiore a quella del Metropolitan. Ma è questione di gusti.

        Forse può interessarti anche questo vecchio articolo di Leonetta Bentivoglio, in cui Ramey parla delle diverse esperienze da lui fatte come Don Giovanni assieme a Karajan, Muti, Zubin Metha, la diversa interpretazione che, del personaggio DG e dell’opera davano questi direttori.

        http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/08/08/ramey-salisburgo.html

        Vabbè. Questa volta chiudo davvero, eh, che il troppo stroppia 🙂

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      2. @Gabrilu

        L’analisi di Bambini l’avevo proposta come risorsa e lettura altra; io stessa, pur trovando interessanti gli elementi di critica storico-sociale, non la condivido pienamente ed esattamente per i tuoi stessi motivi (il ridurre la complessità e l’unicità dei fenomeni umani a schemi in cui fare forzatmente rientrare tutto il conoscibile è un’operazione che mi inquieta alquanto),

        -Sull’evoluzione del ruolo del basso nell’opera: dopo un corso accelerato e intensivo dell’evoluzione dei ruoli di questa voce, ho scoperto che…..abbiamo ragione entrambe.
        Infatti:
        -il basso, già dal seicentesco Orfeo di Monteverdi, connota proprio i ruoli – è il caso di dire-….. dell’altro mondo ; infatti, basso profondo è il personaggio di Caronte, il guardiano infernale -il che segna ed evidenzia, peraltro, una tradizione di continuità con lo stesso Don Giovanni , e più tardi degli spiriti magni come Seneca, archetipo del saggio e personaggio tragico (muore suicida). L’inflessibile tempra morale, o se si preferisce la statura come pure la sinistra grandezza definiscono i grandi ruoli di basso, da Sparafucile al Mefistofele di Gounod (e potremmo aggiungere credo Boris Godunov, per tacere poi dei personaggi wagneriani)..
        Tra Settecento e Ottocento, però, il basso buffo viene utilizzato per altre finalità espressive, per rendere, cioè,le diverse declinazioni del vecchione che insidia o desidera concupire le fanciulle (esempio celeberrimo sarà Don Bartolo); la scelta della voce di basso per Don Giovanni, che è invece un seduttore giovane ed aristocratico (un tipo caratterizzato quasi sempre dal timbro tenorile), è dunque doppiamente interessante, perché probabilmente invita il pubblico a non fermarsi soltanto all’apparenza del seduttore ma a coglierne il lato demonico – e, appunto, profondo , elemento che caratterizzerà molti dei ruoli di cattivoni terribili più sopra citati.

        -Sul fascino e sulla complessità del personaggio, poi, inutile dire che sottoscrivo pienamente; ma qui troppi sono intervenuti con troppo più alto merito, come ad esempio un certo signore danese, di nome Søren Kierkegaard, che dedica a Don Giovanni una meravigliosa analisi nelle pagine del suo Diario di un seduttore .
        E comunque, se in fine mi consenti una battuta, mi pare di poter concludere che di certo Leporello possa segnare sul catalogo del suo perfido padrone anche i nostri nomi: guarda per amor suo come ci siamo accapigliate 😛 😀 😀 😀

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  4. Molto succoso l’ ampliamento di gabrilu. Il basso ” buffo”, omettendo il Boris Gudonov ( e qui mi fermo per palese incompetenza). Ho scritto per segnalare che l’ analisi di Bambini si apre in un pdf ( almeno a me è succeso così). Aspetto il seguito.

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  5. Tra i tuoi come sempre “audaci” accostamenti e gli approfondimenti forniti e suscitati da Gabrilù la discussione è molto interessante. Mozart e Dickens sono anche per me veri e propri “mostri sacri”. La “Christmas Carol” anche io l’avevo un tempo sottovalutata, ma mi sono dovuto ricredere quando l’ho riletta per fare di Scrooge il protagonista di un “seguito” della storia in un breve raccontino che mi era stato chiesto di scrivere (lo faccio ogni anno) per una strenna “natalizio-letteraria” (solo un piccolo gioco, a cui da allora non mi sottraggo).
    Quanto a Mozart anche io ho apprezzato molto il fil di Losey, che all’epoca trovai sopraffino e magnifica l’interpretazione di Raimondi, pur apprezzando molto Ramey (che ricordo fra l’altro nel ruolo di uno splendido Shadow nella versione dello stravinskiano “Rake’s Progress”, parente stretto del Don Giovanni mozartiano, diretta da Riccardo Chailly, opera che amo alla follia.
    Quanto all’assegnazione alla voce di basso del ruolo del protagonista, credo che Mozart la ritenesse indispensabile per dare al personaggio quella “fosca grandezza eroica” (M. Mila) che lo caratterizza, dovuta probabilmente all’animo stesso dell’autore, per tanti anni incline egli stesso al piacere ingenuo e fanciullesco ma incupitosi poi alla morte del padre e di fronte alle difficoltà e alle ristrettezze dei suoi ultimi (pur se ancora giovanili) anni, che portarono spesso i suoi pensieri al senso della morte e a quello della morale etica (e del giudizio dei morti).
    Per questo il breve saggio di Babini non riesce a convincermi pienamente. Le mie idee saranno superficiali, e in parte preconcette, ma la lettura di Mozart in uno schema anche politico-sociale a mio parere appare un po’ forzata. Certo, i geni come lui riescono sempre ad assimilare qualcosa che in qualche modo “è nell’aria”, ma ad influire sull’opera credo che, proprio per un personaggio come fu lui, i fatti autobiografici fossero molto più determinanti.
    E proprio per questo in fondo Dickens e Mozart sono anche profondamente diversi: Scrooge di fronte ai fantasmi alla fine si ravvede e trova la felicità (e la salvezza). Don Giovanni piomba invece all’inferno, trainato dal fantasma della statua, trovando così la sua punizione (e che forse Mozart stesso, spaventato dalla morte, temeva per se).

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    1. @carloesse
      Ohimé, di quest’opera di Stravinskij non sapevo assolutamente nulla; sono corsa a documentarmi e ho scoperto che ha un librettista d’eccezione, nientemeno che il poeta Winstan H. Auden :-); quindi, mille grazie per questo prezioso contributo :-).
      Quanto alle motivazioni personali di Mozart, certo questa è- anche- la tesi sostenuta anche dal film di Milos Forman, anche se mi pare che buona parte della critica la respinga ….. in ogni caso, il rifiuto di pentirsi e la coerenza dimostrata sia pure nel male eleva Don Giovanni alla dignità di personaggio tragico, a cui nulla toglie l’appendice posticcia della scena XX Questo è il fin di chi fa il mal. Certo, è un personaggio che non ha eguali – e nemmeno simili- nel repertorio mozartiano, eppure lui solo (non la versione di Tirso de Molina né quella di Molière) è stato in grado di costituire una nuova categoria del pensiero occidentale.
      Potenza della grande poesia (e quindi anche del nostro Lorenzo Da Ponte).
      Un saluto e di nuovo, grazie 🙂

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      1. Un vero peccato che tu non conoscessi “La carriera di un libertino (The Rake’s Progress)” di Stravinsky. Per me è uno dei grandi capolavori della lirica e la più bella opera del ‘900.
        Come avrai visto documentandoti per la vicenda si ispira a un noto ciclo di incisioni di William Hogarth (che poi ne fece anche una serie di quadri a olio) dallo stesso titolo, per la musica principalmente alle tre opere di Mozart e Da Ponte (con tanto di utilizzo dei recitativi accompagnati da solo clavicembalo) e specialmente al DonGiovanni e a “Così fan tutte”, ma non solo a quelle (vi sono echi di Gluck, di Rossini, Verdi, Bizet, Donizetti…).

        Per il testo si affidò a W.H.Auden, che si fece coadiuvare anche da un altro poeta Chester Kallman, e ne uscì uno tra i più bei libretti della storia della musica lirica (per Stravinsky stesso il più bello che gli fosse mai capitato leggere), con molti riferimenti anche altrove (al Mefistofele Faustiano, al mito dei tre desideri,…) frutto di un continuo lavoro sull’analisi delle incisioni di Hogarth, che ne rimangono la storia portante.

        Ti invio qui il link per poterla godere per intero in una versione diretta da Kent Nagano, con Samuel Ramey nel ruolo del mefistofelico Nick Shadow, nella messa in scena di Alfredo Arias
        (con tanto di balletto alle spalle degli interpreti).

        Se poi spulci su YouTube ne puoi trovi versioni diverse, anche semplici trailer o singoli spezzoni, e anche più classiche o più moderne per scelta di ambientazione della messa in scena.

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  6. @carloesse
    Grazie! E’ davvero una scoperta preziosa-e deliziosa 🙂
    A parte notare come abbia anticipato- o più correttamente, sia stata ripresa da- molta produzione leggera successiva (la tradizione del musical, o delle colonne sonore dei film, non faccio qui riferimenti precisi per non dire corbellerie, ma l’atmosfera musicale dell’opera è a noi piuttosto familiare, filtrata per altre vie), pensavo tra l’altro a quale possa essere stata la soddisfazione di Ramey nel cantare, una volta tanto, nella sua lingua madre :-).
    Ciao- e di nuovo mille grazie 🙂

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  7. All’interesse per ciò che scrivi si aggiunge, cosa non da poco, il dibattito che sai suscitare tra persone competenti (tra le quali non mi inserisco, rimanendo unicamente un’amante della lirica e invece una non amante di Dickens, salvo ovviamente riconoscerne la grande qualità, che non comporta l’apprezzarla.
    Ho letto con grande interesse, per poi essere guidata a interrogarmi. Splendido.

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    1. @Ivana Daccò
      L’interesse del dibattito è tutto nel valore dei contributi dei miei interlocutori, che per questo ringrazio di cuore (e anche per la pazienza e l’attenzione con cui benevolmente sopportano- sopportate!- i miei salterelli pindarici…….:-) )
      Quanto a Dickens, devo dire che mi spiace scoprirtene “non amante “, come tu dici, ma capisco: la lettura è un’alchimia sottile ed impalpabile, che molto riflette e dice di noi, ma che per fortuna conserva quel carattere imprevedibile che ci fa amare alla follia autori lontanissimi da noi per mentalità e vissuto, e ci lascia invece freddi per altri che, sulla carta, avrebbero tutte le qualità per piacerci.Mercurio è un dio a cui piace scherzare quasi quanto ad Eros…..:-)
      Un saluto, cara, e grazie 🙂

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