RESURREZIONI. LUCANO E CARAVAGGIO

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30 Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31 Allora i Giudei che erano in casa con lei a consolarla, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando: «Va al sepolcro per piangere là». 32 Maria, dunque, quando giunse dov’era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». 33 Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: 34 «Dove l’avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». 35 Gesù scoppiò in pianto. 36 Dissero allora i Giudei: «Vedi come lo amava!». 37 Ma alcuni di loro dissero: «Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?».
38 Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra. 39 Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni». 40 Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?». 41 Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. 42 Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». 43 E, detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». 44 Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare».

Questo il racconto della resurrezione di Lazzaro riportato  nel Vangelo di Giovanni (11,1-53), soggetto iconografico tra i più noti e frequentati della tradizione artistica europea  (da Giotto a Tintoretto, dai fiamminghi  a Rembrandt); ma al cospetto della versione di Michelangelo Merisi da Caravaggio- che tutti avrete certo immediatamente riconosciuto- non si può fare a meno di avvertire, rispetto al testo evangelico, una  inafferabile ma irriducibile dissonanza, che lo avvicina invece, insospettatamente, ad un altro testo di resurrezione, diverso e terribile.

« Passando egli dopo a Messina, colorì a’ Cappuccini il quadro della Natività, figuratavi la Vergine col Bambino fuori la capanna rotta e disfatta d’assi e di travi; e vi è San Giuseppe appoggiato al bastone con alcuni pastori in adorazione. Per li medesimi Padri dipinse San Girolamo che sta scrivendo sopra il libro, e nella Chiesa de’ Ministri de gl’Infermi, nella un-autoritratto-del-caravaggio-408250.660x368cappella de’ signori Lazzari, la Risurrezione di Lazzaro, il quale sostentato fuori del sepolcro, apre le braccia alla voce di Cristo che lo chiama estende verso di lui la mano. Piange Marta e si maraviglia Madalena, e vi è uno che si pone la mano al naso per ripararsi dal fetore del cadavero. Il quadro è grande, e le figure hanno il campo d’una grotta, col maggior lume sopra l’ignudo di Lazzaro e di quelli che lo reggono,ed è sommamente in istima per la forza dell’imitazione. Ma la disgrazia di Michele non l’abbandonava, e ‘l timore lo scacciava di luogo in luogo. […] »

Quando, come ci racconta il suo biografo Giovan Pietro Bellori,  Cavaggio giunge in Sicilia agli inizi dell’Ottobre del 1608, ha avuto ormai inizio l’ultimo, terribile tempo della sua esistenza. In fuga da Malta dopo essere caduto in disgrazia presso il Gran Maestro dell’OrdineAlof de Wignacourt ,che in virtù dei suoi meriti artistici lo aveva accolto e ordinato- eccezionalmente- cavaliere per consentirgli così sfuggire alla condanna capitale emessa contro di lui a Roma per l’omicidio di Ranuccio Tommasoni , Caravaggio approda inizialmente a Siracusa, per poi spostarsi poco tempo dopo nella città di Messina, dove può contare su protezioni influenti tra i membri della famiglia Colonna (imparentati con i marchesi di Caravaggio, al cui servizio avevano lavorato e lavoravano i membri della  famiglia Merisi), tra gli stessi Cavalieri dell’Ordine (Antonio Martelli, priore dell’Ordine in Messina, uomo influente sul piano politico e militare al cui appoggio appunto si doveva già  l’approdo di Caravaggio a Malta) e forse, come pure si sostiene, tra le gerarchie ecclesiastiche nella persona di  Bonaventura Secusio, francescano ordinato arcivescovo della città dal 1605 dal Papa Paolo V Borghese per i suoi valentissimi uffici diplomatici. La sua fama di artista  straordinario lo precede e con una simile rete di relazioni non tardano ad arrivare commissioni e richieste. GiovanPietro Bellori, tacendo dei ritratti e di molte altre opere forse oggi andate perdute, annovera tra le opere del periodo messinese, come qui sopra si legge,  la pala d’altare per la Chiesa di Santa Maria della Concezione  (oggi nota come Adorazione dei pastori)  e quindi, per la cappella della famiglia Lazzari  nella Chiesa dei padri  camilliani (i Ministri degl’Infermi), appunto la Resurrezione, soggetto che allude in maniera evideRestauri14-a1nte al nome della casata dei banchieri genovesi. In realtà, gli accordi per il soggetto del quadro erano inizialmente diversi,e avrebbero dovuto comprendere una Madonna con Bambino e un San Giovanni Battista (Giovan Battista era appunto il nome del committente), accordi che vengono poi evidentemente spazzati via dall’urgenza dell’invenzione pittorica, che suggerisce  a Caravaggio un soggetto del tutto diverso. Il senso di un così repentino cambiamento è illustrato felicemente da Tomaso Montanari  nella puntata n.11 della sua monografia La vera natura di Caravaggio (realizzata e trasmessa da Rai 5 per la regia di Luca Criscenti); secondo lo storico dell’arte, infatti, il quadro- e la scelta del soggetto- (ri)acquistano diverso senso e spessore se messi in rapporto con una precedente opera dipinta pochissimo tempo prima da Caravaggio a Siracusa, ovvero il Seppellimento di Santa Luciaopera, per così dire, di soggetto analogo ma speculare. Quasi perfettamente speculare è infatti, non a caso, anche la composizione del quadro, con il cadavere della santa posto in secondo piano, quasi indistinguibile dal fondo, già terra nella terra.; il crescendo della piramide di corpi verso destra, che culmina con la figura dell’uomo armato con il braccio steso in avanti nello stesso gesto che  sarà poi quello del Cristo; in Caravaggio, che si sente braccato e inseguito e dal «cervello stravolto» (come lo definisce la nota di un  non altrimenti noto committente messinese, Nicola Di Giacomo), domina assoluto il pensiero della morte, il destino che nella morte attende i  corpi, l’unica realtà esistente, tangibile, a cui viene negata qualsiasi possibilità di trascendenzail seppellimento di Santa Lucia dissolve  in un’ anti-climax la tragedia del suo martirio, di cui costituisce un tutto sommato quieto ultimo atto; nella Resurrezione, al contrario, vemanodiamo il corpo di Lazzaro letteralmente strappato dal suo sonno di morte, gli occhi  riversi feriti dalla luce. Non lo vediamo in piedi, come in Giotto, o nel momento in cui  esce dal sepolcro, come in Sebastiano del Piombo o in Rembrandt; qui egli non è agisce ma è agito,  quasi azionato da coloro che lo sorreggono,nella sua rigida posa di crocifisso; la diagonale del corpo si oppone in direzione ostinata e contraria  al ritorno alla vita; la mano rivolta verso il Cristo quasi gli intima  di fermarsi, esprimendo una disperata riluttanza, insensibile allo slancio commosso di Marta che accosta il suo volto a quello del fratello per poterne raccogliere il primo respiro. Nella Resurrezione, in questo quadro dipinto in fretta da un Caravaggio inseguito e  braccato soprattutto dai propri dèmoni, si completa dunque il percorso di un uomo che aveva posto al centro della propria arte la natura esclusivamente carnale dei corpi, ri(con)ducendoli allo scandalo (cito ancora Montanari) della loro pura materia, in una dimensione- la nostra- ove non sembra esscan-090211-0009.jpgserci  alcuno spazio per la trascendenza, per  un altrove in excelsis  aldilà della tomba ignuda, che si conferma limite ultimo della nostra mortale finitezza. Il corpo, dunque, viene inteso non più come tempio o prigione dell’anima da cui questa è pronta ad involarsi verso i sicuri porti celesti,quanto invece come argilla modellata e scavata  nelle sue forme non dal gesto vivifcatore di Dio, come alle origini del racconto biblico, ma dall’ azione scarnificante del peso stesso del vivere. L’attenzione di Caravaggio si è sempre rivolta del resto, ai momenti in cui  la vita sta per abbandonare il corpo: si pensi a Giuditta e Oloferne   o più ancora alla sublime Decollazione del Battista di Malta, che Roberto Longhi ha potuto definire « il pù bel quadro del mondo»; se non conoscessimo il titolo dell’opera o il racconto di Giovanni, leggeremmo piuttosto il quadro come gli ultimi  istanti di un uomo in agonia- e tale è, infatti, per la fatica disumana  di  ripercorrere, per un capriccio divino,  contro senso e contro natura  le terribili vie della morte.

 

 

 


Non ci sono, ad oggi, elementi  concreti per affermare che Caravaggio conoscesse la Pharsalia; per quanto ne sappiamo, non è probabile ma neppure impossibile. Che Caravaggio leggesse, lo possiamo dedurre dalla presenza dei libri nei suoi quadri, come 220px-Busto_de_Lucano,_Cordobanota ancora Montanari; ma non abbiamo alcun documento che attesti il volume o la qualità delle sue letture. Di sicuro, però, Caravaggio avrebbe riconosciuto  in Lucano un temperamento affine, anche perché il poeta opera nel genere epico una rivoluzione analoga a quella realizzata poi dal pittore nella concezione e nella rappresentazione delle storie sacre. Il poema di Lucano infatti stravolge completamente i canoni del genere scegliendo come soggetto della propria opera un evento storico e non mitico, lo scontro tra Cesare e Pompeo culminante nella battaglia di Farsalo   cui fa da contrappunto la tragedia di Catone l’Uticense, che morirà poi suicida alla notizia della vittoria di Cesare e della conseguente fine della Roma repubblicana. Qui  gli dèi e il loro arbitrio capriccioso non trovano dimora (manca perfino l’invocazione alla Musa, inaudito sovvertimento della tradizione), se non in una funzione generica, plurale  e indistinta assimilabile ad un fato cieco e maligno, incurante degli esseri umani e della loro sorte Non stupisce, dunque, come dimostra Gianluca Chiesa, che anche in Lucano l’attenzione sia ossessivamente concentrata sul corpo, sulla sua sofferenza (le ferite, la fame, la sete) e soprattutto sulla sua morte, che difficilmente avviene repentinamente ma che « si fraziona nelle morti successive delle sue singole parti», prolungandone così l’agonia all’estremo,  in una serie estenuante di particolari e dettagli osservati  con un rigore insieme distaccato e pietoso (come nel celebre episodio della morte di Pompeo, in cui viene descritta la fatica fatta dal sicario per recidergli la testa dal collo, mentre ancora esala l’ultimo respiro e ha gli occhi rovesciati, lasciati scoperti dalle palpebre). Lucano crea dunque, come Caravaggio, dei veri «quadri di morte», in cui ci si concentra sul mistero della vita che abbandona il corpo- o che in esso rifluisce. Rinnegando, anzi rovesciando l’apparente provvidenzialismo di Virgilio che nel VI libro dell’Eneide riscriveva la storia di Roma mostrando MEdusa.jpgcome ogni vittima e ogni goccia di sangue versato nel corso dei secoli fosse per volere divino finalizzato all’ascesa al potere di Augusto (ma che poi ha portato sul trono i despoti  della dinastia giulio-claudia, degnamente coronata dalla follia  di Nerone), Lucano costruisce il libro VI della Pharsalia attorno alla figura della maga tessala Erittone,  cannibale dal volto pallido e dai capelli di serpente, che si ciba di giovani corpi strappati dalla pira funebre o delle membra rinsecchite di sepolti e crocifissi, o anche di cadaveri lasciati a terra, precedendo fiere e avvoltoi. È lei, in un’ irreale atmosfera da   incubo,ad offrirsi di togliere il terribile dubbio dalla mente di Sesto Pompeo (il figlio di Pompeo Magno), se la vittoria apparterrà alla fine a suo padre oppure a Cesare. E siccome i campi circostanti sono ricoperti di cadaveri a causa dello scontro recente che ha visto la rotta dei Pompeiani riparati in Tessaglia sotto la pressione delle truppe di Cesare (siamo dunque ormai alla vigilia della battaglia di Farsàlo), la maga propone di resuscitare uno di quei corpi, che essendo morto  ha la lingua ancora integra e non disseccata, e dunque potrà  parlare in maniera intelligibile e chiara,senza rischio di fraintendimenti. Dopo aver fatto calare le tenebre ed aver invocato tutte le potenze infernali (arrabbiandosi addirittura per la lentezza con cui la Morte si appresta ad esaudire la sua preghiera!), la maga chiede che possa tornare in vita  il cadavere di un soldato dalla bocca schiumante, di cui ella vede l’anima eretta, terrorizzata dall’idea di rientrare nel carcere del corpo, e a cui, dice Lucano, viene strappato anche il dono estremo della morte, ovvero quello di non poter più morire( A miser, extremum cui mortis munus inique eripitur, non posse mori), e lo frusta con uno dei suoi serpenti; ed ecco che

 

Subito il sangue coagulato si scalda, ravviva le nere
ferite e scorre nelle vene fino all’estremità delle membra.
Trepidano le fibre percosse nel gelido petto,
e la nuova vita insinuandosi nelle midolla disavvezze
si mischia alla morte. Palpitano tutti gli arti,
si tendono i nervi. Il cadavere non si solleva lentamente
membro per membro, dalla terra, ma ne viene respinto
d’un colpo solo. Allentatesi le palpebre riappaiono
gli occhi. Non ha ancora l’aspetto di un vivo,
bensì d’un morente, permangono la rigidezza e il pallore,
è attonito al ritorno nel mondo.

[Protinus astrictus caluit cruor atraque fovit
vulnera et in venas extremaque membra cucurrit.
Percussae gelido trepidant sub pectore fibrae,
et nova desuetis subrepens vita medullis
miscetur morti. Tunc omnis palpitat artus,
tenduntur nervi; nec se tellure cadaver
paulatim per membra levat terraque repulsum est
erectumque semel. Distento lumina rictu
nudantur. Nondum facies viventis in illo,
iam morientis erat; remanet pallorque rigorque,
et stupet inlatus mundo.]

La reazione del soldato, dunque, sembra essere la stessa di Lazzaro: una sorta di doloroso stupore di fronte a chi ha osato disturbare così crudelmente il suo sonno di morte. Anche l’aspetto rimane quello di un morente, rigido e pallido: la versione speculare di un’agonia. Ma non può protestare né urlare: la sua voce e la sua lingua possono solo rispondere agli ordini della maga, la quale però- forse leggendogli la disperazione nel volto?- sa bene cosa promettergli in cambio dei suoi servigi:

 «Dimmi ciò che ti ordino» ,esclama la Tessala «e ne avrai un grande compenso: se dici
il vero, t’affrancherò dai sortilegi emonii per tutta la durata
del mondo; brucerò le tue membra su un tale rogo
e con tale legna e formule stigie, che la tua ombra
non dovrà ascoltare più scongiuri di maghi.
Questo il premio della resurrezione: né parole, né erbe
– con la morte data da me – oseranno interrompere il sonno del tuo lungo Lete».

 [ ‘dic’ inquit Thessala ‘magna,
quod iubeo, mercede mihi; nam uera locutum
inmunem toto mundi praestabimus aeuo
artibus Haemoniis: tali tua membra sepulchro,                  765
talibus exuram Stygio cum carmine siluis,
ut nullos cantata magos exaudiat umbra.
sit tanti uixisse iterum: nec uerba nec herbae
audebunt longae somnum tibi soluere Lethes
a me morte data]. 

Lo sventurato, dopo aver profetizzato la morte di Pompeo, l’assassinio di Cesare e la rovina di Roma, dopo aver ricordato a Sesto Pompeo, tremante di terrore, che ormai in tutto il mondo non esiste più alcun luogo sicuro per sé e la sua stirpe, tace, e con l’espressione mesta del volto chiede che gli sia restituita la morte (Sic postquam fata peregit,/stat vultu maestus tacito mortemque reposcit). E la maga, una volta tanto fedele alla parola data, con formule ed una nuova pozione fa sì che il cadavere ricada a terra, e poi, postolo sulla pira, ne brucia i resti, il cui fumo accompagna Pompeo nel mesto ritorno all’accampamento di suo padre.


La resurrezione, il ritorno alla vita che ha come premio la morte: è il grande, geniale paradosso di Lucano, forte della propria eredità stoica ma anche della lezione del materialismo lucreziano. Impossibile non leggere in questi versi il sottotesto del cupio dissolvi petroniano: non può esserci vita sotto la tirannide, la cui ombra si stende implacabile  a coprire -e a ghermire- tutte le sue vittime. Lo stesso Lucano, com’è noto, morirà a soli ventisei anni per aver partecipato alla congiura senatoria contro Nerone ;  di fronte alla scelta terribile se suicidarsi o venire ucciso, si lascerà aprire le vene dal proprio medico, morendo così dissanguato, secondo la tradizione stoica, seguendo da presso suo zio Seneca e  lo stesso Petronio.


RISORSE E NOTE A MARGINE

-La traduzione  qui riportata del testo della Pharsalia è di Luca Canali ( Rizzoli, 1987);

-Sulle ragioni della presenza di Caravaggio a Messina l’articolo della Gazzetta del Sud a firma di Marcello Mento;

-Per un’interpretazione moderna del mito di Lazzaro, vanno segnalati i racconti eponimi di Pirandello e di Leonid Andreev,splendidamente analizzati nelle pagine di dietroleparole e di  Tommaso Aramaico ( qui , qui   e qui);

-Un’ulteriore consonanza tra l’mmaginario di Lucano e quello di Caravaggio, come si è detto,  è il motivo ricorrente della decapitazione, a cui si associano il disgusto e la pietà degli spettatori o degli stessi artefici del delitto, rapiti in una sorta di fascinazione crudele; così nel libro VIII, le lacrime di Cesare che senza neppure voltarsi per il disgusto contempla impietrito la testa di Pompeo – lacrime non sincere, avverte Lucano, ma che gli permettono di esprimere i suoi veri sentimenti di gioia selvaggia salvando le apparenze:

non primo Caesar damnauit munera uisu                  1035
auertitque oculos; uoltus, dum crederet, haesit;
utque fidem uidit sceleris tutumque putauit
iam bonus esse socer, lacrimas non sponte cadentis
effudit gemitusque expressit pectore laeto,
non aliter manifesta potens abscondere mentis                  1040
gaudia quam lacrimis

possono essere accostate al broncio indecifrabile del David della Galleria Borghese che contempla assorto la testa recisa e grondante sangue del Gigante sconfitto (in cui, com’è noto, Caravaggio si è autoritratto per l’ultima volta):

 

 

11 comments

  1. Veramente bellissimo, dragoval. Altri commenti non saprei fare, per mia acclarata incompetenza. In ogni caso, il doloroso stupore di fronte a chi ha osato disturbare così crudelmente il sonno di morte. e la riluttanza a risorgere sono sprazzi inquietanti e molto interessanti. Come veramente appassionante è tutto l’ approfondimento su Lucano. Grazie, dragoval, sinceramente e senza cortesia salottiera. I tuoi post arricchiscono e introducono sempre nuove conoscenze. Un caro saluto.

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    1. @Renza
      Sei veramente squisita, come sempre- non so dirti quanto mi siano care la stima e l’apprezzamento che mi dimostri :-).
      Quando ho ascoltato la lettura dell’opera che Montanari propone nella sua bellissima monografia, la collisione con i versi di Lucano mi è apparsa inevitabile -salvo poi notare altri parallelismi anche più pervasivi e profondi, come appunto l’attenzione sui corpi; del resto, ho potuto notare più volte come in realtà gli asterismi si estendano molto più in là di quanto non apparisse al primo sguardo.
      Un caro saluto a te, e ancora grazie

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    1. @Gabrilu
      Per chi scrivo, dici.
      Forse per quel destinatario sconosciuto che speriamo sempre che esista e che possa trovare senso in quello che scriviamo, proseguendo così un dialogo a distanza in forme che non possiamo immaginare né conoscere- che trovi insomma il nostro volume tra gli scaffali degli infiniti esagoni della Biblioteca, e possa farlo suo almeno in parte.
      “Questa elegante speranza rallegra la mia solitudine”” 😉
      Ciao, e grazie

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  2. I tuoi percorsi sono talmente affascinanti che sicuramente meriterebbero una ben più ampia visibilità. Talvolta io stesso, quando so che un certo argomento potrebbe essere di interesse per qualche mio conoscente, offro il link d questo sito. Così come talvolta faccio anche per quello di Gabrilù. Ma si sa che le piantine della conoscenza sono spesso le più fragili, le più nascoste e le più delicate. Necessitano di tanta cura e pazienza. Forse un giorno fioriranno…

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  3. @carloesse
    Ti ringrazio di cuore, come sempre, per l’apprezzamento e la stima- e la pubblicità :-D.
    Nel merito,comunque, a fortissimo rischio di peccare d’ immodestia, penso di poter sottoscrivere le parole di Plinio il Vecchio ( Nat Hist.,Praef.15):

    Res ardua vetustis novitatem dare, novis auctoritatem, obsoletis nitorem, obscuris lucem, fastiditis gratiam, dubiis fidem, omnibus vero naturam et naturae suae omnia. itaque etiam non assecutis voluisse abunde pulchrum atque magnificum est.

    http://www.latin.it/autore/plinio_il_vecchio/naturalis_historia/!00!praefatio/15.lat

    Ma con un sorriso- e senza prenderla e prendermi troppo sul serio 😉
    Ciao- e grazie

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  4. @Anna(dietroleparole)
    E’ un piacere. Così chi legge può, grazie a te e a Tommaso, arricchire il quadro ( mi perdonerai per questa vieta metafora, qui però pregnante) di un altro percorso autonomo, affine e pure distante da quello tracciato qui. Mi piacerebbe usare l’ adynaton delle convergenze parallele , non fosse che è divenuta espressione abusata del politichese più astruso.
    Un caro saluto a te 🙂

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  5. Che poi, a ri-leggere il tuo bel post a distanza di tempo, nel tentativo di appropriarsi oggi della vicenda di Lazzaro, vengono le vertigini. Cancellare i netti confini che siamo abituati a tracciare fra vita e morte, così come il mutare la segnaletica stradale, rendendo a doppio senso una strada che reputiamo a senso unico…Lazzaro, la sua vicenda, permette non solo di ripensare la morte, ma anche e soprattutto i confini e la natura di ciò che chiamiamo vita. Grazie ancora per il tuo bel post.

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    1. @Tommaso Aramaico
      L’illusione di controllare la morte, di renderla reversibile a piacimento, temo sia una delle più pericolose- e meno misericordiose- del nostro tempo. Non intendo con questo, e ci mancherebbe altro, condannare procedure di rianimazione, manovre di emergenza, tentativi estremi di salvataggio; condanno le insensate forme di accanimento che talvolta, per troppo amore, certo, ci impediscono di separarci da coloro che amiamo anche quando il loro spirito si è ormai involato, o quando un risveglio significherebbe riprecipitarli in un mare di sofferenze o limitazioni (la realtà di una sala di rianimazione non ha nulla a che vedere con le ottimistiche e banalizzanti rappresentazioni di cui sono farciti gli onnipresenti medical drama ).
      Credo sia bene che quella verso la morte, sia pure ovviamente come extrema ratio , resti una strada a senso unico. Vita e morte sono troppo profondamente estranee l’una all’altra; incommensurabili, inconciliabili. Ma disperazione e dolore appartengono sempre e comunque alla prima, e mai alla seconda; bisognerebbe ricordarselo sempre.
      Un saluto e grazie di cuore a te per il tuo commento, non puoi immaginare quanto appropriato e prezioso

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